martedì 5 maggio 2015

I don't like you

Me l'ha detto così, all'improvviso.
Davanti alla televisione.
Poi ha indicato i punti rossi sul mio braccio e ha aggiunto: "You're spooky".
Il mio bambino, proprio quello fra i due che è sempre stato più attaccato a me, quasi che solo la mia presenza o il mio abbraccio potessero far tornare il mondo alla normalità, come se solo io potessi allontanare i mostri della notte e vincere i nemici immaginari, proprio lui, mi ha ferito a morte.

Non mi piaci.

Se lo avessi letto su uno dei libri di istruzioni per bambini, non ci avrei creduto.
Come può un figlio tuo, che ami e adori alla follia, dirti che non gli piaci.

I don't love you.

Per rincarare la dose.
Me lo ha detto di nuovo, più volte.
Dopo averlo detto aveva l'espressione di chi è spaventato dalle sue stesse parole, come se fossero diventate un'arma nucleare in grado di distruggere tutto. E meno vuoi farlo, e più ne hai paura, più lo dici, come se un mostro si impadronisse di te.

Lo stesso mostro che spaventa me, quando alzo la voce con  te, perché sono stanca, perché la vita ha il sopravvento e mi dimentico che sono la tua mamma, che dipendi da me, che hai bisogno di tutta la mia attenzione, non delle ore in più di lavoro.

Mi sono spaventata così tanto che sono andata a cercare nella mia sfera di cristallo (tutte le streghe ne hanno una).
Ho scoperto che siamo in tante. Che molti bambini decidono di dire I don't like you alle loro mamme. In tutte le lingue del mondo.
Quando vanno di fretta, hanno i minuti contati, quando dicono troppo di fare silenzio, la nanna, i compiti, di fare da bravi che mamma ha da fare.

Coi pugni chiusi mi hai detto ancora che non ti piaccio.
Mi hai visto triste mentre ti dicevo che anche se io non piaccio a te, tu a me piaci molto e ti voglio bene. E te ne vorrò anche se tu non me ne vorrai più. E non alzerò più la voce perché ti spaventa. Cercherò di ricordarmi che io sono grande. Tu ancora no.

Poi è arrivato Juan e gli ha parlato di quanto la mamma era triste perché il suo bambino non le voleva più bene.
Si è stupito. Forse pensava che fosse ormai impossibile rimettere insieme i cocci di un cuore spezzato per ricominciare tutto come se niente fosse.
È venuto da me e mi ha abbracciato.

Ora se gli chiedo: "Mi vuoi bene?"
Mi dice di sì.

Non come se niente fosse.
Abbiamo imparato tutti e due come volerci bene.
Io so che devo ricordarmi che lui esiste e che ha bisogno di me e dei miei sorrisi solo per lui.
E lui ora sa che con la mamma può sbagliare, che lei sarà comunque lì ad aspettare che torni.

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