venerdì 21 febbraio 2014

Hipster si diventa

Ieri dovevo andare al museo con i miei studenti per un progetto e ho detto ai bambini di sbrigarsi che mamma doveva arrivare prima a scuola.
Mi è stato chiaramente chiesto perché e sono cominciate le rimostranze: a me al museo non mi ci porti mai...
Ora, a parte l'amore di Luca per l'arte drammatica e le impersonazioni delle vittime più celebri, in realtà queste rimostranze mi sono piaciute parecchio.
Noi i bambini al museo ce li abbiamo sempre portati: nel marsupio, in braccio, per mano... La prima volta avevano forse due mesi.
Non solo al museo, ma a concerti, a vedere film all'aperto, a conferenze, in biblioteca.
Bambini hipster.
Questo volevamo.
Anche senza chiamarli cosi.

Ricordo che appena conosciuto Juan eravamo andati alla Menil Collection e in una piccola libreria di fronte al museo una bambina, di forse tre anni, piangeva e faceva i capricci.
Finche la mamma non è intervenuta: "Alright, alright, I'll take you to the museum!".
Queste sante parole hanno magicamente calmato la furia infantile, che con un sorriso ha preso la mano della mamma e si è diretta verso il suo personale Paese dei Balocchi la Menil Collection!
E io ho pensato che anche io avrei voluto avere una furia che si calmasse con la promessa non di una caramella, ma di una visita al museo.

E cosi me ne sono fatta due!

Houston offre varie opportunità, musei per bambini, delle scienze, d'arte, di tutte le forme e di tutti i colori.

E noi li visitiamo vieppiù frequentemente.
Diciamo che non abbiamo sempre avuto grande successo durante tutte le visite, ma quasi.

A volte chi sta di sorveglianza nei musei si preoccupa, ci segue, pronto a bloccare con uno scatto felino qualsiasi tentativo di Luca e Matteo di eventualmente osservare troppo da vicino, migliorare o comunque modificare le opere d'arte più o meno intenzionalmente.
Si sentivano più sereni quando ancora stavano nel marsupio, bloccati addosso a babbo e mamma...
Già quando gattonavano, li sentivano più minacciosi. Ora poi che camminano libero-rapidamente, scatenano il panico...

Ma l'ideale è stato l'estate scorsa, quando nel parco della mia città, i Giardini pubblici di Sassari, hanno organizzato delle presentazioni di libri all'aperto con contiguo laboratorio artistico per bambini: il babbo e io finalmente ad ascoltare qualcosa che non avesse a che fare con la scuola o con i bambini, e loro felici a colorare, ascoltare storie e correre a piedi nudi sull'erba. Ogni tanto ci facevano una visita, e poi di nuovo al laboratorio.

E poi, sempre nello stesso posto, di notte, cinema all'aperto. Ci portavamo dietro un picnic e via!
La serata era organizzata!

Luca e Matteo sono i miei amici con cui posso uscire, scoprire, imparare. Voglio che per loro siano un piacere sia l'apprendimento, sia la condivisione delle scoperte con noi, anche se siamo grandi, anche se quando saranno giovani adulti noi saremo anziani.

Non so se crescendo ameranno ancora i musei, le biblioteche, l'arte, la musica, ma sicuramente noi stiamo cercando di fare quello che possiamo perché almeno conoscano e possano scegliere poi quello che preferiscono.

martedì 4 febbraio 2014

Niente nuove - Niente nuove

Qualcuno da poco mi ha detto che il silenzio è sottovalutato.
Oggi non ho proprio niente da dire.
Rivalutiamolo.

lunedì 3 febbraio 2014

Tanti auguri a teeeeeee, tanti auguri anche a teeee...

Presto sarà il compleanno dei miei bambini.
Il momento è un po' critico già da un anno.
Fino ai tre anni ci sembrava normale festeggiarlo con i NOSTRI amici, con o senza bambini.
Dall'anno scorso però Luca e Matteo hanno cominciato ad avere bimbi come loro, nanetti come loro, che li salutano con un abbraccio, con cui cercano vermi (o con cui si mettono lo smalto).
Insomma, i miei bebè sono grandi.
E visto che sono anche molto ospitali, chiedono se possiamo invitare i loro amici a casa nostra.

Grazie alla cara Sig.ra Montessori, ma non solo, i miei gemelli sono in due classi diverse, sia a scuola che al nido doposcuola.
Non discutiamo più se sia utile o no alla loro crescita, abbiamo superato la fase del dubbio educativo.

Ma alle nostre economie familiari, chi ci pensa???

23 bambini in classe di Luca a scuola.
23 bambini in classe di Matteo a scuola.
13 bambini con Luca al nido.
13 bambini con Matteo al nido.

Tra amichetti e compagnetti, alla festa ci saranno più invitati che al mio matrimonio.
E allora?
Non se ne fa niente e gli faccio credere che il loro compleanno sarà sempre una festa fra amici di mamma e papà?
Ma come fanno le altre mamme?
Magari non hanno gemelli, ma in molte famiglie qui i figli sono più di uno...
Si sceglie chi invitare e chi no?
Con Luca si può fare, parla, racconta cosa succede a scuola, chi è suo amico e chi no, con chi litiga e chi vuole portare a casa.

Matteo no.
Al nido incontro i suoi amici, che giocano con lui e lo salutano, incontro le mamme che mi dicono che i loro figli parlano sempre dei miei.
Ma a chi vuole bene Matteo io non lo so.

Dunque la decisione è presa: si invitano tutti!

Tanto a paninetti, torte, succhi e patatine li riempiamo quei pancini!
(Fortunatamente ancora non sono adolescenti)

Ma come, dove, quando?

Quando è facile: il giorno dopo il loro compleanno è sabato, scelta scontata.
Di mattina, così magari non ci roviniamo la giornata e facciamo pure il riposino dopo la festa.

Dove è una tragedia.
In tutti i vari locali ginnasto-ludico-scientifico-clowinistico-festaioli dove siamo stati per gli altri compleanni le cifre sono sempre simili: 200 sacchi circa fino a un 15-20 bambini, oltre quello una cifra tot a bambino in eccedenza. Mettiamo un 10 sacchi a bambino, per 50 bambini... Sfioriamo la catastrofe senza nemmeno pensare ai pancini...

Senza contare che poi alcuni pancini arrivano magari accompagnati da altri pancini...

A me i pancini vuoti proprio non piacciono.

E poi diciamolo, la festa dura un'ora e mezza, due ore e ti cacciano per fare spazio a chi è in lista dopo di te. Mai sopportato che mi ricordassero che una festa era finita.
Anche perché io, Luca e Matteo arriviamo sempre in ritardo...

Houston offre di tutto e di più per i compleanni, ma sempre per numeri relativamente limitati di ospiti (numeri logici, razionali, tipo 20) e senza considerare l'elemento gemelli, che raddoppia tutto...

Non sto a citare l'elenco dei luoghi meravigliosi che accolgono e fanno divertire i rampolli che crescono, perché sono tanti e non ce n'è mai piaciuto nessuno.

Gli unici che veramente prima o poi considererò sono: lo zoo, perché ci puoi rimanere quanto ti pare, anche dopo che la tua sala non è più a tua disposizione, e perché i bambini possono stare con gli animali e conoscere chi se ne occupa; e anche il museo delle scienze, che organizza anche lì feste istruttive e divertenti, ma poi non caccia tutti allo scadere delle due ore o meno.

Tante volte però in questi anni ho visto nei parchi gruppi di persone riunite per compleanni e varie feste, con i tavoli da picnic colorati e i palloncini svolazzanti.
Niente limiti di orario, spazi aperti, giochi sicuri, in mezzo alla natura.
Niente tariffe esorbitanti (che c'è poco da fare ma sempre lì si torna: immigrata, non expat) e un budget per riempire i pancini, che quelli sì ci stanno a cuore.

E allora è deciso.

La festa si fa al parco, si invitano gli ospiti con Evite, che per l'appunto ci evita di dover buttar via tanta carta preziosa in bigliettini di inviti che vengono cestinati praticamente all'arrivo a casa, e si aspetta a preparare la merenda di sapere quanti ci risponderanno con un RSVP, per dirci se verranno. Questo ci consentirà di razionalizzare anche i ricordini (assolutamente obbligatori qui...) in base al numero di ospiti.

Per ora ha risposto solo una mamma.
Ha detto forse.

Non so... Forse non riusciremo a razionalizzare e collasseremo...

domenica 2 febbraio 2014

E se i maschietti vogliono lo smalto?

Ora potrei darmi un certo contegno, dire che mi dibatto fra i pro e i contro dell'offrire a maschietti e femminucce educazioni e stimoli diversi, alcuni da maschietti, altri da femminucce.

Io no, io sono una rivoluzionaria.
Non mi turbo.

Ai miei ometti offro bambole, costruzioni, trenini e utensili da cucina, trapani e aquiloni, biciclette e macchine fotografiche, libri con i draghi e con le principesse, bebè da cullare e anche pupazzi a forma di broccoli e carote.

E perché no? Lo smalto.

Spesso prendono in prestito i miei bracciali, gli orecchini, a volte le scarpe di papà.
Matteo ama mettersi i reggiseni attorno al collo.

Adorano quando mi metto lo smalto e oggi Luca era molto triste, perché la maestra all'asilo lo aveva messo alle bambine, ma non a lui.
Il papà di Jacob aveva dato il permesso, ma non c'era nessuno a dare il permesso per Luca.
E allora via, lo smalto la maestra gliel'ha messo anche se era già ora di andare a casa, visto che finalmente era arrivata la mamma a dire di sì!
Me li sono portati a casa tutti e due, Matteo compreso, con le unghie rosa scintillanti e le stelle negli occhi. Ebbri di femminilità. O di chissà cosa gli avrà suggerito quel colore, quell'odore pungente, con i brillantini illuminati dagli ultimi raggi del sole.

Eppure io non sono una rivoluzionaria. Non così tanto.

Quando l'estate scorsa dovevamo partire per la Sardegna, dura e pura, e Luca voleva portare nel suo zainetto il suo bebè, tutto vestito di rosa, io ho suggerito l'orsacchiotto.

Ho avuto paura che qualcuno lo prendesse in giro o facesse dei commenti su quel colore che non si dice, su un bambolotto e non un ben più virile orsacchiotto.
Non volevo dare spiegazioni a lui, non volevo dirgli che il rosa è per le femmine, almeno per alcune persone.
Non voglio essere io a spiegargli ora, che non ha nemmeno 4 anni, che il mondo è brutto e cattivo e ti giudica senza nemmeno conoscerti e ti etichetta.

E siccome allora ho avuto paura, ora no.
Ascolto.
E se vuole uscire con tante collane da sembrare un rapper da ghenga, perché no?
A Natale mi ha chiesto una Lalaloopsie. E via le Lalaloopsie!! Capelli rosa, blu, come vogliono loro.
E se le vorranno portare con loro il prossimo viaggio, sfodererò la sciabola e difenderò il diritto dei miei bambini a scoprire chi sono e cosa vogliono dalla vita.

Le etichette vengono prodotte a centinaia, dalle stesse persone a cui possiamo offrire motivi di scandalo, oppure no.

Non voglio farli vivere in un mondo protetto, neutro, in cui non possano essere individuati gusti maschili o femminili, per non correre rischi e non venir feriti.

Se qualcuno li ferirà, io sarò lì per loro.

Nel frattempo mi faccio preparare torte e caffè nella loro cucina, gioco con i loro draghi e costruisco torri altissime di castelli in cui vivono regine e principesse, da portare a spasso sui trenini o verso il tramonto a cavallo di un unicorno.

sabato 1 febbraio 2014

Il dolore non esiste. Viva l'America!

Mi sono tolta un dente, anzi due.
Proprio quelli del giudizio, mai arrivato.
Mi ero sentita molto orgogliosa quando erano spuntati.
Come una premonizione che qualcosa sarebbe cambiato.
Sarebbe arrivato il G-I-U-D-I-Z-I-O.
Un po' come il giudizio universale, ma io con quei denti ne uscivo bene.
Quattro biglietti verso la maturità e il buon senno comune.

Si dà il caso che il senno comune crei vari problemi, cresca a volte orizzontalmente e spinga quei proletari degli altri denti in maniera tale da provocare dolore e consunzione.
Un po' una rivoluzione oligarchico-dentale senza rispetto per chicchessia.
La soluzione è sempre la stessa: liberarsi del problema alla radice.
Una rivoluzione.

In Italia ne avevo tolti due, con gran dolore e terrore.
Un film horror durato secoli in cui il dentista doveva trovare mille appoggi per far leva e tirar via il mostro che si teneva con tutte le sue forze a una gengiva ormai stremata.
E io pure.

In America, ah, l'America, me ne hanno tolti due senza nemmeno dire trullallà.
I nostri gringos sono contrari alla legalizzazione delle droghe?
Mannò, proprio per niente!
Vengono amministrate dai dentisti.
Pusher novelli ed espertissimi.

Io per togliere questi denti sono stata sottoposta a una flebo di non so bene cosa.
Solo so che quel tubino nella mano mi ha fatto sognare.
Il dentista spaccava, trapanava, tirava, probabilmente martellava, magari c'era pure un moto picco.
Il fatto è che io NON HO SENTITO NIENTE.
Anzi, no, sarebbe una bugia.
Io mi sono sentita FELICE!
Lui faceva, io sognavo, mi godevo quel momento di pace, di armonia con me stessa e con l'universo.

Ogni tanto sentivo qualche colpetto.

Ma cos'era qualche colpetto, se paragonato alla flebo della felicità, della bellezza sublime (perché io, con quegli aggeggi in bocca, la faccia contratta in una smorfia munchiana e un signore con gli occhiali che mi armeggiava sul giudizio, mi sentivo proprio bella)

Non sono riuscita a rattristarmi nemmeno quando ha finito.

Su una carrozza reale, sono stata accompagnata fino al mio cocchio, dove il mio autista designato, il caro marito, mi ha fatto salire (volando con lui in un valzer di fiori) e mi ha ricondotto a casa.

Ho passato la giornata nel mio paradiso color di rosa, senza giudizio, ma a che serviva, tanto?

Devo ammettere che in questo paese il dolore non te lo fanno provare.

Anche dopo aver avuto Luca e Matteo, già dopo il primo giorno spingevo la carrozzina e da loro ci andavo da sola, dopo quattro giorni salivo le scale come una fatina.
Solo un po' a rilento.
Certo, la prima volta che sono andata dai bambini senza carrozzina ancora me la ricordo... Ho passato il tempo, almeno dieci minuti, trascinandomi a premere il pulsante dell'ascensore e poi a raggiungere le porte che si aprivano... troppo lenta per raggiungerle prima che si chiudessero...
Ricordo anche quando eravamo in macchina, ogni pietruzza e ogni dislivello della strada di casa che mi tirava la ferita.
Ma dolore, quello vero, descritto con tanta dovizia di particolari da chi mi aveva preceduto nella scala riproduttiva in Italia, mai.

Non so cosa sia.

Flebo, anestesie, vicodin, ibuprofen... Non so, sembrano versi di una poesia, parti di un incantesimo da recitare con solennità, fiale magiche che per un secondo, un'ora, quel che è, ti portano in un altro mondo, più bello, più giusto.