sabato 24 gennaio 2015

Lucertole e calcio



Terza settimana di calcio per Luca e Matteo.
Stavolta mi sono portata una carriola di temi da correggere per vedere se fra un "Gooooooaaaal!!!!" e l'altro, far bere Luca, far bere Matteo, dare un bacio qui, consolare di là, magari riesco pure a restituire qualcosa agli alunni di tanto in tanto.
Il tempo ci ha aiutato tutti e con un po' di sole mi sono dilettata nella lettura dei diari di viaggio degli studenti che ho mandato per uno scambio in Italia.
Mentre leggevo ogni tanto facevo una pausa per ammirare i miei figli, non più bimbi ma già ometti, che rincorrevano il pallone e mi lanciavano occhiate nascoste, per vedere se li stavo osservando, se la mamma era orgogliosa di loro.

E io lo sono.

Quando con Juan eravamo tornati a Houston e avevamo comunicato la notizia che aspettavamo gemelli i commenti sono stati tanti.
La maggior parte erano scontati, di quelli che leggi sui libri per mamme di gemelli, double trouble, better you than me e chi più ne ha più ne metta.
Uno però me lo ricordo chiaramente: "Meglio così, con uno solo, una come te si sarebbe annoiata".
Questa frase ha immediatamente fatto cessare tutte le paure che potevo avere sul fatto di diventare, a quasi quarant'anni suonati, mamma di non uno ma due primi figli.
La stessa persona mi ha poi fatto notare che, visto che arrivavano due maschietti, sarei anche stata sollevata dal dover dar loro un modello da seguire, che invece in questo caso sarebbe toccato al papà.
Insomma, una win-win situation, non potevo perdere in nessun caso!!!

Il fatto è però che io sono vissuta per la maggior parte della mia vita in un mondo di donne, mamme, nonne, zie, amiche del cuore, e mi ritrovavo assolutamente impreparata all'arrivo di non uno ma ben due nuovi uomini nella mia vita.

Come avrei fatto?

Non dovevo diventare un modello, un esempio da seguire, ma mi toccava ben pure fare bene la parte di mamma e di donna, per insegnare loro la parte migliore del sesso femminile, per insegnargli come averci a che fare, con rispetto e onore...
Io proprio nei panni di fata del focolare, esempio di grazia e femminilità non mi ci sono mai vista.

E poi come avrei fatto con loro?

In cosa sono diversi i maschietti?

Lo sono?

O bisogna trattarli solo come bambini, senza curarsi della loro mascolinità, aspettando che quella se e quando si sviluppi da sola?

Una cosa la sapevo: la pipì doveva insegnargliela a fare il papà.

O almeno speravo.

Quando poi sono arrivati ho capito subito che avevo trovato non uno, ma ben due principi azzurri: gli occhi innamorati di un neonato (due!!!) che ti guardano, come se fossi davvero la fata turchina di Pinocchio, ti fa nascere come un'aura rilucente attorno, BELLISSIMA!!!
Diventi una specie di divinità indiana.

Non so se sarebbe successo anche con una bambina (o due!!!), forse sì.
Forse si sarebbe instaurata un'innata complicità fra donne.
Forse avremmo fatto le fate tutte e tre e avremmo conquistato il mondo!

Non so.

Ma posso giurare sull'effetto principe azzurro.

Poi è arrivato l'asilo, hanno cominciato a mostrare di amare trapani, bambole, scope, cucine e costruzioni in egual misura.
Così come i vari colori, senza eccezione di rosa e di blu.

I primi segni di differenziazione sono arrivati verso i tre anni, quando al mio arrivo alla fine della giornata hanno cominciato a portarmi, orgogliosi, sporchi di fango, con la terra ben ben infilata sotto le unghie, i loro meravigliosi VERMI grigi, che con i loro amici cercavano per ore. Poi sono arrivati i ragni, gli scarafaggi, l'amore per il moccio e le decorazioni artistiche che si potevano fare sul muro e sui pantaloni.
La mia macchina ha cominciato a essere popolata di esseri di ogni tipo, che seccano al sole mentre io lavoro e che spero sempre di non ritrovare quando do un passaggio a qualcuno.

Ho provato a proporre la danza classica: Luca mi ha fatto notare che solo le bambine la fanno.
Una lama dritta dentro al cuore.

Ma come?
Dov'è finito il mio ballerino che fino ai tre anni bastava gli dicessi "Balla!" e zompettava per ore con salti e piroette???
Per bambine???
E io che contavo su una sicura carriera nel mondo del balletto...

Ora quando andiamo ai compleanni per bambine e le vedo, che giocano alle principessine, mentre i miei cavalieri senza paura si rincorrono su e giù per le scale, si arrampicano sugli alberi, si sfidano a colpi di spade, bastoni o gambe di tavolo, guardo i volti attoniti, smarriti, terrorizzati delle mamme in rosa.
A me in fondo non dispiace giocare a draghi e cavalieri impavidi.
Le principesse mi sono sempre state un po' sulle palle, diciamolo.
Anche oggi avrò sicuramente deluso un'altra mamma, regalando alla figlia un libro su una bambina che voleva fare l'ingegnere.

Eccolo qui

Il nostro orto-cortile è infestato da piccole lucertole preistoriche, che se vengono disturbate sparano fuori un bavaglino arancione sperando di spaventarci.

Ma non ci spaventano.

Anzi.

Le prendiamo per la coda e le osserviamo, immaginando che siano grandi draghi sputafuoco,

Chissà, magari amano essere ammirate dai miei due pirati coraggiosi, anche perché si sentiranno sole in un orto con solo tre pomodori.

Forse i miei bambini un giorno porteranno a casa una principessa e spero che non sarà vestita di rosa, o che se lo sarà, avrà anche voglia di giocare con i treni, o con le costruzioni, o magari a rincorrere i draghi dell'orto.

Insomma, una principessa un po' come me.



mercoledì 21 gennaio 2015

La sindrome della maestrina dalla penna rossa

Essere un insegnante non è una bella cosa.

Cioè, è un mestiere meraviglioso, si cambiano delle vite, si danno opportunità, si cambia il mondo...

Si è esposti però a molte malattie contagiose: l'influenza, il raffreddore, virus di tutti i tipi.

Siamo d'altronde circondati da piccoli e giovani esseri umani portatori di ogni tipo di virus o batteri esistenti sulla faccia della Terra. 

Ma il morbo peggiore che si possa contrarre a scuola è uno: 
la sindrome 
della maestrina 
dalla penna rossa!!

Terribilmente contagiosa, presenta i seguenti sintomi:
1. eccessiva attività di udito e vista, che consentono di rilevare ogni pur minima anomalia nella produzione del linguaggio altrui, scritta o orale (congiuntivi inesatti o inesistenti, uso scorretto delle preposizioni, pronomi impazziti...)
2. sensazione di irritabilità e scarso autocontrollo che spingono il paziente a far notare al malcapitato produttore di irregolari e scorrette strutture linguistiche l'imperdonabile errore.
3. paralisi dei muscoli maxillo facciali che portano le sopracciglia a contrarsi spasmodicamente e le palpebre a sbattere ripetutamente ogni qualvolta l'errore venga ripetuto.
4. Nella fase più acuta si sviluppa inoltre una totale incapacità sensoriale alla rilevazione dei propri errori, in quanto il paziente soffre anche di un'ulteriore patologia nota come "mania di superiorità".

Possibile cura:
Esporre il paziente a una terapia d'urto conosciuta come "Guarda la RAI di pomeriggio", ovvero posizionare l'individuo in questione di fronte a uno schermo che trasmetta i vari talk show caratterizzati da loquacità purulenta e ammorbante. In caso di residenza all'estero, sostituire all'elemento RAI un qualsiasi canale tv. 
Trattasi di terapia intensiva e molto pericolosa, con dosi da non somministrarsi per più di due pomeriggi a settimana.

Altra cura: la registrazione delle elocubrazioni del paziente, con qualsiasi mezzo a disposizione: registratore, cattura immagini per elucubrazioni su Facebook, blog, Twitter o qualsiasi mezzo scritto il paziente usi per dimostrare la propria superiorità. Esporre poi il paziente al prodotto finale.

A volte di fronte alle proprie produzioni linguistiche si verifica un bagno di realtà (reality check) che può guarire quasi istantaneamente il paziente.

Ma soprattutto.
Facciamolo ridere questo paziente!!!

L'insegnante colpito da sindrome della maestrina dalla penna rossa è di solito coscienzioso, dedica ore ed ore a costruire il futuro dei propri alunni, prima, dopo e durante il normale orario scolastico, ed è realmente esposto a batteri preposizionali, virus congiuntivi, idee distorte e ormoni adolescenziali impazziti.

Per una guarigione soft alternativa sono utili prese per il naso, vignette, soprattutto se satiriche, caricature e musichette canzonatorie.

Non dovessero funzionare, 
anche 
un bel 
VAFFANCULO
sarà 
d'uòpo.




mercoledì 14 gennaio 2015

Colombia per bambini. Istruzioni per l'uso.

Colombia is the most dangerous place on Earth.

A queste parole il mio orgoglio colombiano mi ha fatto quasi aggredire fisicamente il cretino che le aveva pronunciate.
Non so quale orgoglio colombiano, visto che nonostante tre quarti della mia famiglia siano colombiani, a me proprio neanche si parla di darmi la cittadinanza.

La frase mi è sembrata comunque pericolosamente idiota.

Non perché io sia cieca e non veda i travagli di un paese che cerca di uscire da decenni di violenza e guerra civile.
Ma perché una frase così alimenta la violenza, alimentando la paura.
Ora, che un idiota che in Colombia c'è stato e che vuole tornare a casa e avere successo con le donzelle a basso contenuto di neuroni possa pronunciarla, lo capisco.
Ma lo capisco solo se poi entra in funzione un qualche meccanismo di autodistruzione esseri inutili.
Un po' come per il Messico, mi sembra che avere paura di andarci sia come far vincere chi vuole il paese in preda al terrorismo e alla violenza.
Bisogna andarci invece, tornare a casa, esorcizzare la paura, farsi sentire presenti.

E così noi, nel paese più pericoloso del mondo, non solo ci andiamo, ma ci andiamo con i bambini.
La famiglia di Juan, che vive dietro a un cancello che protegge la porta di casa, ci definisce callejeros, cioè vagabondi.
In effetti a casa ci stiamo poco. Ci si sveglia, si fa colazione, e via per la città.
E pure con i mezzi pubblici.
Luca e Matteo nei nostri viaggi hanno conosciuto mezzi di trasporto di tutti i tipi: taxi, autobus, treno, collettivi, navi, moto taxi, metropolitana, ci manca solo l'elicottero.

Ci piace che si mescolino fra la gente, a spintoni, in equilibrio precario, per provare un senso di appartenenza a un pianeta popolatissimo, dove ti pestano i piedi, ti cedono il posto, dove a volte gli autisti partono lasciandoti appeso solo a un filo di speranza, fra il tornichetto e l'asfalto che brucia.
Dove le mamme leggono ai bambini, per impiegare bene il tempo degli spostamenti, li stringono facendosi culle, li pettinano, li smacchiano o solo li guardano attraverso il loro futuro.
Luca e Matteo saltano, si appendono, volano fra un mezzo e l'altro, si sentono grandi ma mi stringono forte la mano, perché l'ebbrezza dell'avventura non diventi perdita e terrore.
Alcuni mezzi entusiasmano più di altri, come il moto taxi Ape Car che infiamma Matteo di passioni automobilistiche.

E noi?

In realtà siamo tutti ottimi viaggiatori, poco ci impaurisce la fatica di un viaggio con pargoli e bagagli. Siamo una famiglia di zingari.

A Medellín i miei bambini hanno imparato ad amare le statue, i graffiti, l'arte metropolitana su cui ti puoi arrampicare, i volti famosi che puoi fissare senza abbassare il capo e le installazioni che insegnano la storia del paese, che è anche parte di loro.

La notte illumina la città di colori che trasformano anche loro, che li ammirano a bocca aperta.
Il grande miracolo dell'elettricità.
Il sole invece fa spuntare le farfalle da tutte le foglie del Giardino Botanico, e le iguane e le tartarughe escono quasi a comando, a mostrare la loro imponenza. Il cielo appartiene alle scimmie, e più in alto agli uccelli, che lo trasformano di suoni e colori.

Troppo romantico? Bisogna ammettere che la mano quando giriamo per la città forse un po' più del solito gliela stringo.
La paura che qualcosa possa succedere c'è.

Ma non ci facciamo dominare.

Oggi quasi ci schiacciavano Luca in Metro, per colpa nostra che tornavamo all'ora di punta, con la folla da stadio alla fermata...
Anche i nostri amici sono a favore della libertà e del riprendersi gli spazi per non far vincere la violenza.
Però pure loro gli stringono la mano e li tengono ben stretti.

Sono felice di sapere che da grandi i miei bambini sapranno di aver giocato sulle statue di Botero, di essere stati in moto taxi e di non aver avuto paura nel loro paese.


Assolutamente da visitare con bambini:
Plaza Botero
Parque de los pies descalzos, e tutti i parchi della città in generale, soprattutto quando hanno in corso manifestazioni ed eventi.
Jardín botánico e Mariposario
Reposteria Astor, una meravigliosa pasticceria che offer cioccolato e dolci tipici a forma di animali coloratissimi.
Museo de Antioquia, dedicato a Botero, con una bellissima sala dove i bambini possono giocare ed entrare nell'opera d'arte Pedrito.
Parque Explora, un parco scientifico e interattivo

Festival da non perdere:
Festival Internazionale della poesia
Feria de las Flores

lunedì 12 gennaio 2015

Non chiaccherare. Non disegnare.

A mio nonno ai tempi del fascismo pare venisse consigliato di non andare in piazza durante le adunate. Non perché fosse un partigiano impegnato nella lotta al fascismo, nè un grande pensatore, filosofo o politico, ma solo perché zitto non ci stava e se sentiva delle stronzate opinioni diverse dalle sue gli sembrava giusto, in maniera più o meno (molto meno) elegante farlo notare ai presenti, con toni più (molto più) o meno agitati.
Quindi nonno stava a casa. Zitto no, non ci stava, ma fra le pareti domestiche si poteva essere ribelli ed esprimere le proprie idee liberamente, che al massimo non ti stava ad ascoltare nessuno.

A me da piccola leggevano Gian Burrasca, come esempio di difensore della libertà di espressione che in un modo o nell'altro si mette sempre nei guai.

Mia madre diceva che se fosse nata in un passato storicamente non ben definito, sarebbe stata sicuramente punita dal Sistema per non saper tenere la bocca chiusa. Degna figlia di suo padre.

Una famiglia di chiaccheroni.

Pochi anni fa nella mia città un gruppo di chiaccheroni è stato accusato di terrorismo, non perché fossero state trovate reali prove concrete contro di loro, ma solo perché avevano fatto affermazioni minacciose, o anche non minacciose, semplicemente considerate pericolose.

Faceva bene chi suggeriva a mio nonno di stare a casa.

Ricordo che anche io quando ero giovane e avevo occupato un asilo insieme a un gruppo di rivoltosi umanoidi, avevo sentito qualcuno dirci di fare attenzione, che avevamo i telefoni sotto controllo, che era pericoloso.
Non capivo bene cosa ci potesse essere di pericoloso a occupare un asilo. Al massimo la stagione, visto che noi, anziché fare la primavera di Praga avevamo deciso di fare l'autunno-inverno di Monserrato, e faceva un freddo boia a dormire in una casa senza porte o finestre solo col sacco a pelo vecchio. Pericoloso o no mi era piaciuto moltissimo. Avevo anche imparato a suonare Hey Joe alla chitarra. L'unico evento artistico della mia vita.
Mi vergognavo un po', perché io all'asilo poco ci facevo: gli altri occupanti erano tutti musicisti, disegnatori: avevano fatto dei murales che io, che non avevo fatto niente, se non eventualmente rifornire il gruppo di tè caldo la sera, non ero degna neanche di guardare.
Non potevo che ammirare i rivoluzionari che mi avevano permesso di aggiungermi a loro.
E collaboravo chiaccherando, visto che a me, quanto a chiacchere, in pochi mi battono.
Eredità di famiglia.

Quell'occupazione aveva dato il via a tutta una serie di altre occupazioni, principalmente all'università, dove, devo ammetterlo, non ho fatto che rimpiangere l'asilo, freddo, sporco, ma pieno di creatività e di gente onesta che rivendicava uno spazio proprio per creare. Occupare l'università era più comodo, si dormiva nell'Aula Magna sopra la moquette, al calduccio. Nessuno mi ha insegnato una nuova canzone però, e quei rivoluzionari mi si erano pure rubati le meccaniche della chitarra. È sicuramente quello che ha stroncato la mia carriera musicale. Anche lì si rivendicava uno spazio. Politico. O meglio direi un posto in politica. Giovani rampolli della bella società rivoluzionaria. Io ci stavo anche peggio che all'asilo. Assolutamente fuori posto.
Neanche a dirlo, lì non disegnava nessuno.

Ma il vero atto rivoluzionario della mia vita è stato quando ho deciso di scoprire se quella gentaglia che tanto casino aveva fatto a Seattle era veramente gentaglia. Alla tv, nonostante quello che dicevano i giornalisti, a me sembravano proprio persone perbene, che chiedevano soltanto di essere democraticamente presenti quando i Signori dell'Universo si riunivano a decidere chi vinceva a Risiko. Mi sembrava molto lecito, anzi addirittura encomiabile, che qualcuno girasse il mondo solo per dimostrare la propria opinione e guidare i Signori verso delle decisioni giuste e condivisibili per tutti.
La tv invece li faceva sembrare dei mostri. Ma come può essere mostro chi vuole un mondo migliore?
Allora, nel 2001 mi sono imbarcata per Genova per unirmi a loro, con una banda di chiaccheroni meravigliosi, alcuni di soli 15 anni e con una cultura e delle idee che io non avevo mai sentito. Gente davvero rivoluzionaria. Fra di loro c'erano anche alcuni che molto rivoluzionari non erano, diciamolo, ma tanto, una volta scesi dalla nave, quelli si sono visti ben poco, che l'aria era tesa e i sacchi a pelo scomodi.
Come è finita quella meravigliosa avventura si sa.
Anche a noi, come a mio nonno, la polizia ha detto che dovevamo starcene a casa. Anche se non eravamo pericolosi. Solo per il fatto di parlare troppo.

Ora il fatto è che da quando sono arrivati Luca e Matteo il mio sogno è andare a una manifestazione con loro, insegnargli a conquistare la strada, a parlare con la gente, a imparare da uno sconosciuto a suonare Hey Joe. Luca poi, mi ha detto che vuole fare l'artista. Non solo di disegni, anche di statue. Sarei così orgogliosa di vedere un giorno dei murales rivoluzionari fatti da lui.

Ma la verità è che io a una manifestazione non ce li ho ancora portati.
Perché ho paura.
Perché i grilletti sono veloci e i gas bruciano la pelle.
Perché dovunque ti volti chi vuole limitare la tua libertà ti minaccia.
Perché quando si uccide, a una manifestazione o sul posto di lavoro, si creano cadaveri da appendere sulla pubblica piazza, a monito.

Io in piazza a Parigi non ci sarei stata.
Con tutta quella gentaglia in prima fila, che censura la gente alle manifestazioni con la violenza, fratelli di chi uccide per punire dei disegni o delle parole.
Perché li hanno accettati? La strada è della gente comune, non dei potenti.
Sono andati a fare un balletto macabro sulle tombe di chi non li ha mai rispettati.

Nemmeno voglio che i miei figli diventino due chiaccheroni da salotto, o che Luca disegni per i suoi amici, nella sua cameretta.
Devono imparare a pensare, devono crescere liberi, Gli comprerò più colori, gli insegnerò ad amare la gente e la strada.

E quando sarà ora ci andremo insieme alle manifestazioni e io avrò imparato a farmi coraggio per loro.

venerdì 2 gennaio 2015

Supermamme contro il Mostro Nero della notte

In questi giorni mi sveglio e non voglio tirare su di nuovo le coperte.
Di pomeriggio ho voglia di guardare la tv, scrivere, leggere, sorridere.

Chiaramente è necessaria una seria riflessione e analisi dei fatti.
Il caso infatti è abbastanza raro.

Anche le mie migliori amiche  si ritrovano spesso nella stessa barca. Che piano. Piano. Affonda.

Le mie interazioni più intense su Facebook sono con amiche che si lamentano della stessa cosa: l'insonnia.

Una pubblica che non dorme, l'altra ci si aggiunge, poi arrivo io (causa il fuso orario).

Insomma, siamo stanche, abbiamo le occhiaie che sembrano l'oceano profondo dei mari del sud, e delle borse sotto gli occhi in cui potremmo mettere tutte le memorie presenti, passate e future di varie generazioni.

Saranno le preoccupazioni.

No.
Preoccupazioni non ne abbiamo. Avremo il mutuo, le bollette, due figli, un marito, una casa da mandare avanti da un fine settimana all'altro, mille lavori che ci riempiono le ore e la mente. Ma preoccupazioni davvero no. In fondo abbiamo un lavoro, di solito quello scelto da noi, che ci affatica ma ci gratifica, una famiglia che adoriamo, dei mariti da sballottare un po' e amare, amiche con cui condividere gli alti e bassi della vita, anche a chilometri e chilometri di distanza.

Non ci manca niente.

Ma allora perché ci infuriamo, perdiamo la pazienza e soprattutto il sonno?
Saremo dei mostri?
Le famose donne insoddisfatte delle riviste per casalinghe?
Le mamme iperattive che vogliono tutto, soprattutto la perfezione e perdono le staffe se i loro progetti mostrano una falla?

Analisi.

Mi sveglio tutte le mattine alle 6.
Vesto i bambini.
Mi vesto io.
Colazione.
Dai, fai colazione.
Su, mangia che siamo in ritardo.
MangiAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!!
Scarpe.
Per uno.
Per due.
Per me.
Giacca uno.
Giacca due.
Giacca me.
Asilo pre-scuola.
Fuori uno.
Zainetto uno.
Fuori due.
Zainetto due.
Ciao mamma arriva presto uno.
Ciao mamma arriva presto due.
Bacio uno.
Bacio due.
Ri-bacio uno per evitare crisi di abbandono.
Macchina.
Autostrada.
Lezione uno.
Due.
Tre.
Pranzo.
Mille studenti in classe anche a pranzo.
Niente pranzo.
Lezione quattro.
Cinque.
Sei.
Finito. Respira. Pranzo. (Merenda?)
Autostrada.
Asilo.
Bacio uno.
Bacio due.
Corri a casa.
Cena.
Quel cartone mi sembra violento.
No, mamma non è violenzo.
Dalla cucina sembra di sì.
CambialOOOOOOOOOOOOO!!!
Cena.
Bagno.
Libro.
No, vogliamo il film.
No, libro.
Ho detto librooooooooooo!!!!
Nanna per uno.
Nanna complessa per due: abbracciami.
Ti sto abbracciando.
No, più tight.
Nanna due.
Il marito guarda la tv...
Magari scendo anche io...
Sì, dai ora scendo...zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz...

Fin lì tutto perfetto.
Poi verso le due, appuntamento su Facebook con le insonni.

Non so, ma io mamme insonni casalinghe non ne ho ancora incontrato.
Fare la mamma e lavorare non è semplice.
E quella di cui sopra è una giornata modello 1 - semplice.
Poi ci sono i giorni che i lavori sono due e si torna alle 8:30, per trovare il marito in versione drago-ora-o-li-strozzo-o-me-li-mangio perché il giro asilo-cena-nanna è toccato a lui.

Daltronde, cosa fare?
Scegliamo di lavorare per condividere le responsabilità, per realizzarci ed essere "una" non la metà di qualcuno, per dare un esempio di dignità e indipendenza ai nostri figli, per offrire loro la possibilità  di viaggiare, di avere una casa, di avere un futuro.
La mia è una casa fondata sul lavoro.
Che mi tolga la pace e il sonno non importa.
Io non sono negativa. Sono stanca, cari signori belli.

Bisogna ridimensionare, rivedere le priorità, trovare il tempo della felicità.
Ecco un buon proposito per il nuovo anno.

Il lavoro però resta lì, per mostrare ai miei piccoli che la mamma è stanca, ma perché ha un suo ruolo nella società e perché vuole poter dare loro tutto quello che a loro serve.

Poi arrivano le vacanze, il sole splende anche se fuori piove, ci si rilassa, viene voglia di fare tante cose, di sorridere, di ballare e cantare con i bambini.
Fortunatamente ho scelto un lavoro che di vacanze ne porta molte.
Il sole splende spesso.
E torna il sonno.

Fino a lunedì.
Ma il sole splenderà lo stesso, troverò le mie amiche insonni in un'altra dimensione e ci faremo compagnia.

(Ps= niente di male ad essere casalinghe, se una vuole farlo, se  è soddisfatta, se è una scelta, se nessuno ne paga le conseguenze. Io sarei stata una casalinga molto soddisfatta, Avrei dovuto abbandonare molti sogni. Ho solo deciso di non farlo.)

giovedì 1 gennaio 2015

Ma io dove vivo? Identità e affini

Nel periodo delle feste la nostalgia si fa sentire e viene voglia di tornare a casa.

Da poco su Facebook ho avuto uno scambio di idee con un'amica.
Ho postato (scusate):

- Seriously homesick.
Risposta (o domanda, vedete voi):
- Where are you?
- At home.
- Which home are you missing then? Or are you sick of being home??

Il concetto di casa è molto variabile, multiplo, sconcertante, confortevole e confortante.
Secondo Paul Young bastava poterci poggiare il cappello per chiamarla tale.

Io cos'è non lo so esattamente.
So che a volte vorrei andarci, mi ci vorrei identificare, vorrei avere la sensazione di esserci.

Uno dei pochi momenti in cui mi sento totalmente a casa è dopo un viaggio. Per me è la valigia che bisogna poggiare, non il cappello. Forse perché il cappello non lo porto.

Disfare la valigia mi dà la sensazione di essere arrivata. Por fin! Giunta alla meta agognata, al luogo dove finalmente posso riposare dopo un periodo di instabilità, tempeste, aerei, navi, treni.
Sensazione che provo a Houston dopo l'estate, in Sardegna all'arrivo da Houston, indistintamente.

Dovunque trovo quiete dopo la tempesta.

La sensazione della casa la provo anche però quando vedo un panorama di Mosca, del Cheshire, di Parigi, di Madrid, se sento una musica conosciuta, una lingua che capisco.

Anche Medellin è casa, non tanto per esserci vissuta a lungo, ma perché ha dato origine, in un modo o nell'altro, agli uomini più importanti della mia vita.

La casa è uno stato mentale.

Quando infatti un luogo non mi sembra casa, basta che un pezzo di un'altra casa arrivi a trovarmi, amici, un pacco, una cartolina, e immediatamente la non casa si ritrasforma in casa.

E per i miei figli?

Fondamentale ora far sì che identifichino la LORO casa, con la MIA casa, perché ça va sans dire che loro sono parte integrante di qualsiasi valigia da posare a CASA.

Strazianti alcuni viaggi recenti, in cui si arrivava a Medellin o a Sassari, stanchi e felici noi, scocciatissimi, spaventati e delusi loro...
Luca passa i primi giorni a odiare qualcosa: la casa piccola a Sassari, lo spagnolo a Medellin.
Matteo vuole direttamente tornare a casa. E allora via, si torna a casa a piedi, si fa il giro dell'isolato alle 2 del mattino, per annusare la zona, trovare qualcosa che ci piace, rilassarci e decider che magari è meglio restare, per avventurarci anche il giorno dopo nella nuova giungla urbana...

La via d'uscita si trova nell'incontro con le persone, quando i bambini si incontrano, ricevono abbracci, biscotti e sorrisi.

E zii.

Da buona sarda insegno loro che gli adulti amici sono tutti zii e zie. Questa famiglia allargata a loro piace molto, ne chiedono una costante conferma, li fa sentire a casa.

Il rientro a Houston è sempre una gran festa. Luca dice che le persone non devono lasciare il loro country. Che i suoi amici sono a Houston, come la sua scuola, i suoi vicini. Anche se abbiamo casa in tre posti diversi, la loro identità per ora è evidente. Non è la nostra. Non solo almeno.

Devo godermi gli anni in cui ancora la casa migliore sarà fra le braccia della mamma (e la mia abbracciata a loro due!).

Che il 2015 ci porti tante valigie, piene di amici, case e biscotti!