venerdì 19 giugno 2015

Calling all conductors!

Ieri sera leggevo i commenti dei miei alunni sull'ennesima strage, a Charleston.
Parlavano di razzismo, non per il fatto che un bianco abbia ucciso in una chiesa di neri, bensì perché quel bianco ha potuto uccidere, poi è stato arrestato civilmente e ora tutti si preoccupano della sua salute mentale, dell'orrore provocato da un'errata legislazione sul porto d'armi.

Nessuno lo ha chiamato terrorista.

Nessuno lo ha accusato di essere un violento massacratore.

Gli  è stato concesso di essere trattato come un essere umano in crisi.

Il rapporto con la giustizia in questo paese sembra ufficialmente gestito non a seconda del crimine commesso, ma del colore della pelle.

Quando sono arrivata ho insegnato per un anno alle elementari e ho imparato moltissime cose.
Abbiamo onorato il Black History Month con ricerche, letture, progetti sulla storia della popolazione afro-americana, sulle lotte per i diritti civili. 

Forse perché sono cresciuta con un libro su Martin Luther King in biblioteca, forse perché i ricordi di mia madre sul suo soggiorno negli Stati Uniti nel 1964 erano profondamente legati al mondo nuovo che gli americani avevano cominciato a costruire, forse perché avevo letto Malcolm X e perché mio padre guardava alla TV i combattimenti di Mohammed Ali quando ero piccola, o magari solo perché viviamo sulla stessa terra, ma quel mondo l'ho sempre sentito molto vicino.

Così per me Cincinnati è il Nationall Underground Railroad Freedom Center, un luogo di testimonianze, simboli ed eroici conduttori, che liberavano adulti e bambini per piccoli gruppi, di notte, quando l'oscurità li proteggeva e le stelle li guidavano verso i rifugi sicuri e la libertà.




Juneteenth
National Underground Railroad Freedom Center, Cincinnati
La festa dell'emancipazione Afroamericana - Wikiradio del 19/06/2015

giovedì 4 giugno 2015

Il blues dell'immigrato

Prima o poi, tutti quelli che emigrano, espatriano, lasciano il paesello per necessità, curiosità, incompatibilità con l'ambiente o solo per il forte desiderio di fuga, il paesello lo cercano.

Quando però il paesello è stato lasciato, tornare non è sempre facile.

Allora lo si cerca dove ci si trova.
In un ristorante.
In un bar.
In un gruppo etnico al quale improvvisamente si sente di appartenere.
In un gruppo su Facebook o in un blog.

Questa ricerca mi ricorda un video di alcuni anni fa, in cui una ragazza andava alla ricerca di umanità portandosi fra le braccia il suo cuore, enorme.

A ogni tentativo fallito di incontro il cuore rimpiccioliva, fino a che non trovava qualcuno con cui parlare.
Ogni contatto umano riportava il cuore a dimensioni gigantesche, e così anche le sue speranze di un'altra possibilità.

Chi parte lo fa sempre sapendo che lascia dietro di sè tutta una vita e un mondo che sarà difficile da mantenere a distanza, ma lo fa comunque, con la speranza che quello che troverà nel nuovo mondo sarà comunque meglio.

Le difficoltà puntualmente si presentano, soprattutto quando chi parte non è più uno studente, ma un adulto con un lavoro, magari una famiglia, tanti doveri e responsabilità.

Il nuovo paese, per quanto si sia grati di averlo trovato e di averci trovato nuove opportunità di vita, è sempre un altro paese.

Non si riconosce il cibo, le case sono diverse, le persone parlano strano, pensano strano, hanno sempre diversi modi di fare, che non riconosciamo come nostri e che ci creano una sensazione di destabilizzazione.

Si comincia a cercare qualcuno che ci assomigli, che ci parli in una lingua conosciuta e che abbia appetito per gli stessi sapori.
Le generalizzazioni cominciano a sembrare meravigliosi fattori di unione e cominciamo a pensare che solo chi viene dal nostro paesello potrà veramente capirci.
Nel bene o nel male, l'umanità sembra rappresentata solo da chi viene da dove vengo io.

E allora si prende il cuore e si scende per strada.
O si va in un centro culturale.
O timidamente si chiede di far parte di un gruppo su Facebook.
O si manda un messaggio per chiedere l'amicizia.

Con il cuore in mano, pieno di possibilità.

Ora, è evidente che la sola provenienza dallo stesso paesello non basta.
Se il paesello poi è l'Italia, abbiamo 20 possibilità contro una che il cibo non sia lo stesso, la lingua neppure e usi e costumi varino infinitamente.

Parliamo poi del fatto che abbiamo comunque "chentu concas, chentu berrittas"?
(Mi scusino gli stranieri italiani della penisola...)
Le idee sono immancabilmente diverse.
I sogni pure.

Insomma, nella nostra ricerca torniamo spesso a casa con il cuore rimpicciolito.

Ma i più coraggiosi non mollano, ripartono alla carica, si caricano il cuore in spalla e partono alla conquista di nuove amicizie e di nuovi affetti.

Anche perché, per una questione di probabilità, qualcuno in giro si troverà pure!

Enjoy!

martedì 2 giugno 2015

Due per tutti! Tutti per due!

Quando il ginecologo ha chiamato (eh, la sanità in Colombia... Il medico chiama te, non tu lui...) per dirmi che sarei diventata mamma ha usato le parole "molto incinta".

Sapevamo già che gli embrioni impiantati erano tre (sì, i nostri figli sono sintetici), ma anche che alla mia bella età di 39 anni era difficile anche portarne avanti solo uno.

Io invece ero "molto incinta".

Il Colombiano chiaramente felice come una Pasqua.
Io più che altro stordita come dopo una forte dose di anestetico.
Lo Zio Alberto ha potuto solo biascicare un "Mierda..." e spalancare gli occhi come se avesse davanti due folli pronti a rovinare il loro futuro vo-lon-ta-ria-men-te.
Da rinchiudere.
Noi.

E da rinchiudere era proprio il Colombiano, che, vista la grande emozione, ha anche invitato il pubblico alla prima ecografia! Ora, non scendo nei dettagli, ma per quanto amici del cuore, la PRIMA ecografia, quando ancora gli embrioni sono proprio piccoli, piccoli, non è esterna!! E così a vedere quelle celluline e quei cuoricini minimi battere per noi eravamo in 5!!! I nonni adottivi erano lì e li hanno visti con noi.

3 adulti in lacrime. Io no. La posizione pubblica mi aveva tolto la commozione.

Da prima che nascessero, ci siamo innamorati di quelle due cosine, che avevamo visto al microscopio fin dai loro primi giorni di vita di quelle quattro celluline iniziali.
(Nessuno si emozioni e mi consideri una sostenitrice del movimento per la vita e intolleranti simili, please. Erano solo l'utero mio, gli embrioni miei. MAI giudicherò io gli uteri e gli embrioni altrui.)

Siamo corsi a comprare libri sui gemelli, sulle gravidanze gemellari, sul baby wearing gemellare, su come allattarne due, coccolarne due, e su come riuscire a non impazzire dividendosi in due fin dall'inzio.

Su quest'ultimo punto abbiamo trovato MIGLIAIA di consigli, teorie più o meno complicate, tutte più o meno rigide, con tabelle da compilare ogni tre ore su quanta pappa, quanta cacca, alcune consigliavano anche di contare quante coccole...

Gli orari e i calendari sembravano essere la chiave di una vita serena e armoniosa.

Mettiamola così: quando una donna (io) torna a casa dall'ospedale dopo una settimana di misuramenti della pressione, dell'ossigeno e chi più ne ha più ne metta, a ogni ora della notte, alle tabelle degli orari delle pappe e delle cacche io do un tre giorni.
Anche meno.

L'unica cosa che mi dava ordine alla vita era la sveglia.
Ogni tre ore, per pappa-cambio-pannolino doppi.
Cambi uno. Coccole. Biberon (io, secca come il letto di un fiume in agosto!). Coccole. Nanna.
Repeat.

Per aiutarci, nella notte fonda, quando non ci riconoscevamo nemmeno noi e avremmo rischiato di cambiare e allattare un cuscino al posto dei nostri figli, in camera avevamo un piccolo esercito di biberon multicolore, con la dose esatta di latte in polvere già dentro e un mega thermos di acqua calda per non andare neanche a scaldare quella...
Come zombie ci si alzava, si versava, si shakerava, e si serviva il cocktail ai clienti, che ubbidienti ciucciavano, senza grandi emozioni, ma serrandoci le dita fra le loro, restituendoci così uno straccio di umanità e ricordandoci che eravamo diventati babbo e mamma.

La mattina il babbo andava a scuola, con il sorriso sulle labbra e le occhiaie sotto gli occhi.

Mia zia, nonna improbabile in prestito, col suo body fucsia luminescente, reduce dalla ginnastica mattutina, entrava come una dea della bellezza greca in camera, sussurrando parole d'amore ai miei ometti in miniatura. Novella Circe dance anni '80, se li portava in camera sua per ammaliarli di coccole e gorgheggi a cui loro non sapevano resistere.

E ogni giorno mi regalava le due ore di sonno, dalle 8 alle 10, più meravigliose che io abbia mai sognato.

Anche noi, fin dall'inizio, abbiamo dovuto dare i milioni di risposte alle domande brillanti che ci venivano fatte solo perché avevamo due gemelli.
No, non sono uguali.
Sì, li riconosco.
No, not double trouble, double love.
Sì, ho tanto da fare.
No, they are not IDENTICAL.
Ora, non vorrei fare la maestrina dalla penna rossa, ma la parola IDENTICO cos'ha che la gente non la capisce???

I nostri ometti non sono identici, né fisicamente, tantomeno caratterialmente.
Sono proprio agli opposti.
Fin da quando scalciavano nella pancia, lo facevano in modo diverso.
Quando sono nati, abbiamo capito subito chi era chi.

E anche crescendo, le differenze sono sempre state milioni.

In realtà non li abbiamo mai considerati "i gemelli", sono sempre stati i nostri due bambini, Luca e Matteo.
Due, ognuno unico e diverso.
Come ogni figlio andrebbe considerato.

I nostri sforzi sì, quelli sono stati doppi.
Su e giù dalla macchina.
Due manine per attraversare.
Due bambini da rincorrere al parco.
Due torte al compleanno.
Doppi pannolini (ah, i doppi pannolini!!).
24 biberon per coprire tutti i turni ogni tre ore.
Doppi cambi da mettere in borsa.
Doppie spese, fin da quando andavamo dall'esperto prenatale, per poi continuare al nido e poi al doposcuola.
Doppie borse sotto gli occhi.
No, quelle quadruple.

E double love. Tanto, tanto double love!

lunedì 1 giugno 2015

Houston per bambini - Seconda parte

È evidente che dopo nove anni a Houston, se sono ancora qui è perché in fin dei conti mi piace.

Nonostante cederei volentieri tutti i vantaggi di vivere in una grande città per tornare al paesello, non posso non ammettere che le possibilità che questa città offre a me e ai miei bambini sono infinite.

E così ne condivido ancora qualcuna.

Ogni estate il comune offre la possibilità di fare i pesciolini, anche a chi la piscina a casa non ce l'ha. E per giunta, gratis! Corsi di nuoto e accesso alle piscine comunali all'aperto per tutti!
Acquatics

Per chi poi vuole educare i bambini a fare la loro parte nella società (ricordate che saranno loro a decidere che fine faremo da vecchietti... Meglio abituarli alla generosità!), Houston ospita la più grande Food Bank degli Stati Uniti. Ci sono moltissime possibilità  per far partecipare i piccoli (ma anche e soprattutto i grandi): si possono fare raccolte di generi alimentari a scuola, si può partecipare al lavoro di distribuzione, o anche solo andare agli eventi che organizzano per i più piccoli
Houston Food Bank

Proprio per la necessità di riempire i pancini, il distretto di Houston (Houston Independent District) per tutta l'estate offre colazione e pranzo ai minorenni disagiati (ma non ti chiede se sei disagiato, ti invita solo ad entrare e servirti!).
HISD Free Summer Meals

E se volete gustare un po' di buona cucina texana per colazione, in un ambiente familiare e con un menù probabilmente mai provato prima, decisamente va fatto un salto al Breakfast Klub. Attenzione però: la fila diventa facilmente lunghissima!! Meglio arrivare presto per il brunch domenicale.
Breakfast Klub

Un altro luoo speciale per le colazioni del fine settimana (o il pranzo, o il brunch, come volete!) è l'Empire Café, un ristorante molto caratteristico, circondato da negozi di antiquari sulla Westheimer nel nostro meraviglioso quartiere di Montrose. Grande varietà di piatti, un cortiletto fresco per sfuggire al caldo e tanti bambini attorno.
Empire Café

Se poi, oltre a rinfrescarvi in piscina, rendervi utili e riempirvi il panzotto, volete anche scegliere qualche bel libro per gli assolati pomeriggi estivi all'ombra di un albero, ci sono moltissime biblioteche, fornitissime anche di libri italiani per grandi e piccini!
La nostra preferita è la Freed Montrose, sia perché è a due passi da casa, sia perché nella sezione bambini ci sono un orso e un cane di peluche giganti molto comodi per sprofondare nella lettura!
Freed Montrose Public Library


E se si fa sera e siete ancora a spasso con i vostri meravigliosi piccoli amici e vorreste invece starvene un po' tranquilli ad ammirarli a distanza... Uberrito!! Sulla West Alabama, provvisto di piccolo parco giochi per bambini. Loro giocano, voi sorseggiate una bella margarita seduti sotto gli alberi...
Uberrito

Se non siete tipi da margarita, ma volete comunque passare l'estate in mezzo alla natura urbana, niente di meglio di Hermann Park, con il giardino giapponese, il verde, i pedalò sul laghetto e quando scende la sera, magari ricordatevi di portarvi dietro un plaid o un asciugamano e via, tutti al Miller Outdoor Theatre, per godersi all'aperto, sotto le stelle uno dei meravigliosi spettacoli al fresco.
Miller Outdoor Theatre
(non dimenticate di andarci a luglio, per i fuochi artificiali della festa dell'indipendenza!

Vi penseremo il 4 di luglio, a bagno nelle acque della Pelosa di Stintino!

(Scusate, non ho resistito! Houston vabbé, ma Sa Sardigna nel cuore!)