giovedì 27 marzo 2014

Ma tu, quanto bilingue sei?

Juan e io abbiamo sempre saputo che uno degli aspetti magici della nostra unione era che se avessimo avuto dei bambini avrebbero potuto imparare non una, non due, ma ben tre lingue così, solo per il fatto di essere figli nostri.
Ci sembrava naturale: io parlerò italiano, tu parlerai spagnolo e Houston insegnerà loro l'inglese.
Fatto.
Organizzato.
Perfetto.

Io, che sono un'avida lettrice, avevo letto molto, un po' qua e un po' là.
Sapevo cosa fare.
Parli tanto, offri materiali autentici, libri, cartoni animati, canzoncine, film, filastrocche e chi più ne ha più ne metta. Un'estate in Colombia, una in Italia per coltivare amichetti con cui parlare, affetti qui e affetti lì, tutti a stimolare e a comunicare con i nostri piccoli virgulti in crescita.
In italiano io, in spagnolo Juan, Houston in inglese.

Et voilà! I bimbi trilingui sono serviti, così, su un piatto d'argento, senza nemmeno Rosetta Stone.

Certo, non avevamo considerato che avremmo potuto avere gemelli.
Nemmeno avrei mai immaginato di avere due maschietti.
Insomma, famiglia trilingue + gemelli + maschietti= lo sfacelo.

Quando prima dell'anno Matteo faceva i suoi gorgheggi, mi beavo all'idea che presto i miei piccini avrebbero riempito le stanze delle loro chiacchere allegre.
Al primo "mamma" mi scioglievo già in un brodo di giuggiole.
Eppure il tempo passava, le bambine che incontravamo al parco già spettegolavano allegramente con frasi complete, e i miei prodi erano ancora lì a biascicare versi incomprensibili.
Mai stata meno felice di constatare la superiorità femminile...
Mi proponevo comunque di aspettare pazientemente i progressi linguistici, senza ansie da prestazione.

E lì è intervenuto Luca, con la sua mente creativa.
Anziché imparare parole universalmente riconosciute come appartenenti ad almeno una delle tre lingue parlate in famiglia (che noia...) ha cominciato a creare un linguaggio tutto suo, coerente al punto che a volte per farci capire usavamo noi i suoi termini, anziché esigere che si adattasse lui a noi.
Matteo chiaramente, affascinato com'era dall'estro del fratellino, ha abbandonato i suoi studi linguistici ufficiali per adeguarsi totalmente alle invenzioni di Luca.

E parliamo di quando i genitori all'asilo commentavano la mia frustrazione con frasi solidali tipo "Magari parlerebbero di più se parlassero solo inglese/ dicono gli studi che i bambini bilingui non hanno mai un ampio vocabolario" e chicche del genere...

Rosetta Stone si vendicava su di me per il boicottaggio fatto in passato.

Ora però uno dei due è un chiaccherone poliglotta, che comincia a parlare al risveglio e smette di inventare storie di draghi e castelli solo a palpebre chiuse la notte.
L'altro ancora fatica, preferisce l'inglese, più semplice e conciso.

Ma io so che i miei piccolini, con tanta pazienza, con tanti libri e con tanti amici con cui chiaccherare, stupiranno presto (e in ben tre lingue!) tutti gli scettici monolingui con crisi di superiorità.