domenica 27 settembre 2015

Leggimi un libro, bandito. Leggimi un libro bandito.

Quando si hanno figli piccoli in un paese lontano, ci sono solitamente due possibilità: l'abbraccio culturale del nuovo paese e la full immersion, o il castello casalingo con ponte levatoio che lascia il paese straniero fuori dalle mura domestiche, elette a roccaforte del paese di origine.

Io sono sempre più confusa sul da farsi, quindi mescolo un po' di questo e un po' di quello, sperando che il bene prevalga nonostante le mie decisioni.

Poca confusione invece per quanto riguarda i libri da presentare ai miei piccoli da leggere.

Tutti.

In qualsiasi lingua.

Su qualsiasi tema.

The more, the merrier.

È quindi evidente che appena vedo libri al bando, ne corro alla ricerca per presentarli ai miei due lettori.

Il sindaco di Venezia è stato un gran consigliere, in quanto l'elenco di libri messi al bando da lui io da sola non sarei mai riuscita a trovarlo!

Grazie Sindaco!

In particolare la serie di Piccolo Uovo.

In famiglia, fin dai primi mesi dei bambini, siamo sempre stati grandi fan di Altan e della Pimpa, quindi il passo verso Piccolo Uovo è stato semplice.

Piccolo Uovo è un ovulo (così immagino) che guarda al futuro e cerca di carpirne la sua identità, osservando quello che lo circonda.

Vede che ci sono cose che fanno le mamme, cose che fanno i papà, cose che in realtà possono fare entrambi.

In un altro libro si chiede se è importante essere ricchi o poveri, in un altro ancora se avere una disabilità può davvero comportare una differente abilità.

Sono libri bellissimi perché non danno risposte, ma pongono tanti quesiti, da discutere in famiglia, per educare ciascuno i propri figli come vuole, ma comunque al rispetto e al senso critico.

Li trovate nelle migliori librerie, su www.amazon.it e su www.ibs.it.

Buona lettura!




sabato 19 settembre 2015

Toglietemi tutto, ma non il lattosio.

No, il glutine nemmeno...

Ho male a un piede.
Come dice il mio Luca: "A mia mamma sta crescendo un osso nel piede".

E infatti.
Spina calcaneare.
Dunque fascite plantare.

Le cause?
Infinite.
Io ce le ho tutte.

Senza contare poi che, per completare il quadro clinico, a 30 anni ho deciso di distruggermi i tendini di Achille facendo la sportiva e correndo 7 km a sera sull'asfalto e poi facendo la pugile e saltellando per un'ora sugli stessi tendini martoriati.

Ora zoppetto.

Qui negli USA mi hanno fatto il regalo di un bel ciclo doloroso di corticosteroidi e poi sono passati subito all'offerta del bisturi.
Non è una lamentela: anche in Italia al tempo di Achille, dopo poche terapie conservative, l'alternativa era stata immediatamente il taglio netto.

E io i tendini non me li faccio tagliare.
Solo l'idea mi sembra da film horror.

Allora mi sono ricordata che al paesello c'era un medico super alternativo, i cui consigli già in passato mi avevano salvato da un taglio netto alle mani (chiaramente proprio quando erano appena nati i gemelli).

Le visite dai dottori alternativi a me fanno subito venire i lacrimoni e mi sembra di stare da un mago che ha la sua vita nelle mie mani e che immancabilmente mi salverà con la sua bacchetta magica.
Questa volta ho dignitosamente represso la commozione.

La visita è stata lunghissima,

Mi sono stati elencati i miei vizi e le virtù sono scomparse dall'orizzonte.

A me, povera tapina, è stato tolto in definitiva l'elisir della vita.

Poiché sembra che il piede mi faccia male per una serie di squilibri gastro-emotivo-esistenziali (e nemmeno metto in discussione il tutto: non ci sono dubbi, ha ragione lui), mi sono stati tolti latticini, zucchero e farina raffinati.

Ora, dello zucchero bianco poco mi importa, non ne sono mai stata una fanatica, preferendo senza dubbi la versione mascobado equa e solidale; togliermi la farina di grano: chessarammai! Con tutte le farine che circolano anche nei più infimi supermercati, resisterò!

Ma il latte.
Il latte no.

La mia è una vera lattosiodipendenza.
Se la sera a casa il latte scarseggia, il Colombiano deve uscire d'urgenza e correre dal vicino per procurarmi il gallone bianco.

Bianco.
Come le nuvole, come i sogni, come la panna montata e la schiuma del bagno.
Puro.
Come l'amore di una mamma, come un abbraccio serale e mattutino, come un...

Va bene, puro no.
Lo so che ci sono migliaia di antibiotici, medicinali dati alle mucche e chi più ne ha più ne mette e finisce tutto proprio nel cartone del latte che ho in frigo.
Ma io speravo che comprare il latte biologico fosse abbastanza...

Invece no.

Sembra che l'assenza di glutine e lattosio mi porterà a un futuro di leggerezza, equilibrio e stabilità.

Io, che sono molto ubbidiente, li ho tolti.

L'esperienza farine alternative (e anche paste alternative) non è stata terribile.
Più o meno si riesce a sostituire tutto in cucina e si riesce a preparare dalla besciamella alle crespelle, senza grandi traumi.

Anche la sostituzione del latte con latte di riso o mandorle per cucinare non è stato impossibile.

Ma la mattina.
La colazione.
È un dramma.

Il latte di riso in Italia è relativamente piacevole.
Non come il latte, ma comunque facilmente abbinabile a un caffè, o come bevanda a sé.

Qui è acquetta...
Per ora resisto.
Faccio da brava.
Ubbidisco.

In realtà un paio di chili li ho persi, anche le forze sono più di prima.

Magari poi smetterò pure di zoppicare.

Whole Foods sicuramente si farà ricco alle mie spalle...

Per chi come me, deve rinunciare ai piaceri del dono bovino e dell'oro del grano, eccovi alcuni link a ricette per noi alieni.

Una cucina tutta per sé
Il mondo di ortolandia
Diversamente latte


venerdì 18 settembre 2015

Italy in a day. Dall'altra parte di un grande oceano.

Due anni fa Enrica e io ci stavamo preparando.
15 minuti non erano tanti, anzi troppo pochi, per raccontare tutto.
Ci eravamo organizzate: avremo discusso se essere italiani dipendesse dal cuore, dai ricordi, dalla lingua, dai documenti...
Un piano perfetto.
Chiaramente non eravamo d'accordo.
E questo rendeva il progetto ancora più vero.

Poi però la giornata che avevamo deciso di raccontare l'abbiamo invece vissuta e si sa, la vita ha sempre la meglio.

Oggi finalmente l'ho fatto vedere agli alunni, Italy in a day.

Abbiamo pianto, riso, sorriso e ci siamo indignati in tutte le classi.

Ma soprattutto per un"ora e ventidue minuti siamo stati dall'altra parte dell'oceano, in un paese che vive ogni secondo della sua giornata amando, sperando, infuriandosi, crescendo i figli e dicendo addio a chi se ne va. Abbiamo sentito il caldo del forno in cui cuoceva il pane, il profumo al borotalco dei capelli dei bambini, abbiamo anche noi cercato mail di risposta su uno schermo e ascoltato il rumore delle onde che si infrangevano contro gli scogli della costa italiana. Abbiamo anche visto un astronauta che un anno fa avevamo incontrato davvero.

Siamo stati orgogliosi, insieme, di un medico che gira il mondo per salvare vite umane per dare valore alla sua, di vita.

Non ero più io l"italiana.

Per un'ora e ventidue minuti eravamo tutti italiani. In cucina. A Modena. Davanti all"Etna a guardare il fumo dal terrazzo.
A gettarci dall'alto con un paracadute.

E ci batteva a tutti il cuore dalle emozioni e dalla vita.

Ci sentivamo tutti un po' nostalgici di un tempo e di uno spazio in cui essere tutti un po' più veri, un po' più noi.

Tutti italiani.


venerdì 11 settembre 2015

Sexismi del genere

Essere genitori è un po' come avere firmato un assegno in bianco, che si moltiplica e tutti cercano di riscuotere.
Non sai mai da dove arriverà il prossimo che vorrà qualcosa da te, per il bene dei tuoi bambini.
E chiaramente tutti, ma proprio tutti, sanno esattamente quello che ti serve.

Al via gli elenchi di consigli su come crescere i tuoi figli, correggendo chiaramente tutti gli errori che invece tu staresti facendo.

La rete ha tolto tutte le protezioni da elementi di questo tipo: non ci sono porte da non aprire, telefoni da staccare.
Solo una tempesta di informazioni.

Dove ti giri, ti giri, qualcuno è sempre lì a dirti cosa fare.

Due spot hanno attirato la mia attenzione.

Il primo promuove un prodotto che secondo la casa produttrice dovrebbe facilitare il mestiere di mamma, rispettando le differenze anatomiche di maschi e femmine.
Ora, non so voi, ma la prima cosa che ho imparato da mamma è che se il tuo bambino usa un pannolino, è meglio essere pronti a tutte le evenienze: le fuoriuscite ci saranno a destra, a sinistra, davanti, dietro, ma soprattutto nei luoghi meno appropriati e sugli abitini più delicati.

Questa ditta invece, sostiene che i maschietti bagnano solo davanti, le femminucce solo sotto.
A ognuno le sue fisse.

Sostiene anche però, che le bambine pensino a farsi belle e a farsi correre dietro, mentre i bambini pensano solo a fare gol e a pilotare gli aeroplani.

Quando i miei piccoli giocavano a calcio, una delle loro compagne di squadra era una bambina.
Pure brava!
Veloce come il vento.

Non so, ma se fossi la mamma di una signorina mi piacerebbe che il mondo le dicesse che può fare quello che vuole, giocare a calcio, pilotare un aereo, magari pure dopo essersi fatta bella, se proprio le fa piacere.


Altri vanno ben oltre il dire ai maschietti e alle femminucce cosa la società si aspetta da loro.
Preferiscono dire loro cosa sono, qual'è il loro orientamento sessuale, o magari addirittura che il sesso non esiste.

Questo mi sembra molto più pericoloso, anche se sullo stesso stile dei pannolini anatomici per lui e per lei.

Oltre a essere un video malfatto, presenta dei chiari segni di manie di controllo e di lavaggio del cervello.

Tanto da causare disturbi psicosomatici al bambino!

Un po' mi sono stufata di sentir parlare di teorie gender inesistenti.

E sono altamente preoccupata dell'ignoranza di questi gruppi di genitori, che anziché parlare apertamente con i figli, lasciare aperte le porte dell'accoglienza e dell'accettazione, dicono che esistono solo maschi e femmine, la famiglia cristiana, il sesso procreativo e l'astinenza psicotica .

Guardino, cari signori, che se il bambino lo crescono senza che acquisti consapevolezza di quello che è, poi magari lo perdono nell'adolescenza. Magari non cambia sesso, magari cresce proprio come loro lo vogliono: casa, chiesa, moglie o marito e figli. Poi magari però, se si libera della repressione infantile, a 50 anni scopre di preferire le fragole ai mirtilli, molla coniuge e figli e parte per Casablanca.

E questo se tutto va bene.

Sennò magari lorsignori si ritroveranno ad avere pesi ben più grandi sulla coscienza.

È che il mondo, cari signori, non è cambiato.

Di uomini che amano donne, che amano uomini, che capiscono solo con il tempo chi sono e finiscono per amare qualcun altro, ne è piena la storia.

Migliaia di anni fa non c'era nessuna teoria gender, cari signori.

Ma gli esseri umani c'erano, e si comportavano proprio come ora.

Cercavano la felicità.

Magari potreste riuscirci anche voi, se non fosse tanto impegnati a proteggere noi dai vostri demoni.



martedì 1 settembre 2015

Le canzoni tormentone

Sto preparando con i miei alunni un progetto sulla canzone italiana.

Per il diario quotidiano guardano un video musicale e poi mi dicono cosa ne pensano e a cosa li fa pensare.

Nella mia classe pensiamo molto.

Comunque sia il risultato è che passo le serate con in testa il tormentone del refrain della canzone del giorno.
Di pensare ad altro non c'è rischio.

A casa mia si è sempre canticchiato molto.

Da adolescente cantavo e ballavo davanti allo specchio nell'intimità della mia cameretta (dai, che lo avete fatto tutti!) per ore: era molto meglio che andare in palestra.

Canticchiavo anche se mi toccava passare in qualche strada buia tornando la sera.
Il buio non mi è mai piaciuto e farmi coraggio parlando da sola non mi avrebbe fatto stare molto meglio.

Poi da grande c'è stata la fase ipnosi neonatale, durante la quale io e il Colombiano cantavamo canzoni di tutti i tipi ai nostri piccoli per farli addormentare.

Quelle preferite da Matteo erano quelle che mi inventavo io, dopo aver esaurito il repertorio colombo-messicano, Il caffè della Peppina, 44 gatti, En la feria di San Josè e Alla fiera dell'est...

A quel punto le nenie prendevano le strade più impreviste, con tonalità (s-tonalità piuttosto...) che però a lui sembravano piacere molto.

Dopo due secondi erano stecchiti tutti e due.

Spesso pure io.

Ora i tormentoni sono diversi.
Si canta soprattutto in macchina, perché si può dar libero sfogo alle nostre corde vocali impazzite, senza che nessuno se ne accorga.

Finestrini sigillati ermeticamente.

I miei eroi al momento prediligono:
Everything is awesome 
I like to move it
Do you want to make a snowman 

L'anno scorso Luca ha canticchiato per la prima volta una canzone sconosciuta, poco prima di addormentarsi.
Parlava di un drago e mi è piaciuta subito moltissimo, quindi gli ho chiesto che canzone fosse.

Puff, the Magic Dragon.

Il giorno dopo ho subito comprato l'mp3, il libro e pure la scatoletta con il drago che esce dopo il solito refrain e ci fa ridere.

Così la potevamo cantare tutti insieme.

In realtà, pare che PUFF, (in italiano sbuffo, buffata, sbuffata), non si riferisse proprio a delle belle e sane boccate d'aria, quanto piuttosto a delle boccate di fumo.
Di draghi e di fuoco d'altronde si parlava!

Che mio figlio di 4 anni si fosse tanto affezionato a un'ode alle canne onestamente mi ha fatto ridere. (Rincuoro i benpensanti: gli autori negli anni '70 avevano rinnegato qualsiasi legame con sostanze stupefacenti come sfondo della canzone).

La canzone che però possiamo davvero considerare la colonna sonora di casa nostra è un'altra.

Quest'estate, sotto il solleone di luglio, su una spiaggia assolata di Alghero, i miei piccoli eroi avevano come sempre fatto a cazzotti e Matteo era tutto una lacrima.
Per consolarlo, l'ho preso fra le braccia e gli ho chiesto:
"Ti canto una canzone?"
"Sì."
"Vuoi che ti canti Puff?"
"No."

Poi mi ha sussurrato all'orecchio cosa gli avrebbe dato un po' di sollievo.

E io ho cominciato a cantare...

"Jingle bells, jingle beeeeells, jingle all the wayyyyyyyyy...".

Mi ha abbracciato e si è addormentato.

Have a merry one, people!




domenica 23 agosto 2015

Il caso delle chiavi dimenticate. Buon compleanno, Colombiano.

Da quando sono arrivata a Houston, le mie chiavi finiscono nei più remoti angoli dell'universo.

Irritrovabili.

Come i calzini spaiati.

Ricordo quando lavoravo da illegale fra illegali, appena arrivata nella terra dei tacchini.

Le mie chiavi svanivano nel nulla, senza lasciare la benché minima traccia nella mia borsa, o nelle tasche della giacca, ma nemmeno sullo scaffale vicino alla porta.

Pufff!

Scomparse!

La mia collega si prendeva gioco di me.
Rideva.
Mi chiedevo cosa ci fosse da ridere, nemmeno fossi caduta in una situazione pirandelliana di sfiga ridicola.
Poi ridevo anche io, così, per fingere di aver capito.

"Adesso c'è Juan. Hai abbassato le difese e dimentichi le chiavi perché tanto la porta di casa c'è qualcuno che te l'apre."

Le chiavi venivano poi regolarmente ritrovate, creando uno schema ricorrente che dopo un po' è diventato così prevedibile, che le chiavi le ritrovavo subito.

Così, tanto per distrarmi un po', lo schema ha cominciato a ripetersi ma in maniera tale da creare comunque un problema.

Ho cominciato a dimenticarle inserite in macchina.
Inserite nel cruscotto.
Dopo aver messo la sicura allo sportello.

La macchina era quindi blindata, inaccessibile, e lontanissima da dove vivevo.

La soluzione sempre la stessa; chiamare Juan.
Che come un supereroe, senza mai dirmi machecazzo, tirava fuori il mantello da supereroe, e dovunque fossi, a qualsiasi ora, arrivava e apriva lo scrigno delle meraviglie.

Vabbè, la Yaris.

Stiamo diventando una vecchia coppia sposata con figli.
Le chiavi me le ricordo di più.
Non sempre, però.
Gli episodi di salvataggio capitano ancora, ma diversificati.
Non necessariamente legati alle chiavi.
Anche ai bambini capita.
Matteo perde la sippy cup e i lego, Luca semina giacche invernali.

La sensazione che il Colombiano ci sarà se faccio casino, per rimettere ordine nel mio mondo confuso, persiste ancora. Sembra che ce l'abbiano anche i nostri figli.

Siamo proprio fortunati.

Magari domani lascio cadere le chiavi da qualche parte e poi chiamo Juan.
Gli sta tanto bene il mantello da supereroe.

Feliz cumpleaños, Colombiano!

venerdì 21 agosto 2015

Lucky people. Tre, quattro lavori per sognare.

In Italia ci si lamenta perché per avere un lavoro fisso bisogna piantare baracca e burattini e trasferirsi in un'altra regione.

Gotcha.
I feel for you.

E io veramente lo capisco che sia difficile.
Trasferirsi e cambiare casa, amici, stare lontano dalla famiglia, non avere appoggi, è veramente difficile.

Noi siamo fortunati.
In fondo è per questo che siamo qui.

Per il lavoro.

I lavori.

Sì, perché quando si lavora a 8.947,10 km dalla propria città, se ogni tanto, diciamo ogni anno, ogni due almeno, uno vuole tornare a casa e rivedere le persone a cui vuole bene, se si vuole essere sicuri che, se un uragano ci butta giù lo steccato, o il calore torrido ci scioglie il condizionatore, se un imprevisto medico ci porta a dover metter mano ai risparmi e ce li prosciuga, se insomma si vuole essere sicuri che in caso di disgrazia e tormento ci siano i soldi per correre ai ripari, qui di lavori ce ne vogliono un paio.

E per un paio intendo un multiplo indefinito.
Chiamiamolo n.

Certo, si potrebbe comprare un biglietto della lotteria.

Certo, si potrebbe mollare il Colombiano per un ricco cowboy o un petroliere.

Ma la realtà è che alla lotteria io non ci so giocare, i biglietti, forse due, che ho comprato in vita mia li ho sempre persi, e gli unici cowboy che ho conosciuto erano allevatori in quel di Oschiri e Berchidda e non avevano ranch in Texas.

Quindi tocca lavorà.

E siccome siamo fortunati (non ci leggete nessuna ironia, non c'è) i lavori li cerchiamo, li facciamo e ce li teniamo.

E gli USA offrono ogni tipo di lavoro extra per insegnanti con energie in sovrappiù; esaminatori, tutor, lettori, valutatori, in presenza, online, telepatici.

Forse il sogno americano è proprio questo: vivere in una realtà dove se ti servono i soldi per la famiglia, per vivere, ma anche per il sovrappiù moderato, li trovi.

Basta un lavoro in più.

Che per chi vive dove è difficile anche trovarne mezzo, è una gran fortuna.

Lucky people.

giovedì 20 agosto 2015

Sardegna per bambini. Una passeggiata fra Sassari e Alghero.

Prima di tutto le notizie importanti: il Festival Girovagando 2015 ha finalmente pubblicato le date: 17-20 settembre 2015!

Se volete avere informazioni sull'evento e siete su Facebook: "GIROVAGANDO" XVIII Ed. - Festival Internazionale di Arte in Strada"

Beato chi ci va...

Noi no.
Stiamo qui, con gli stivali della pioggia ai piedi, fra lampi e tuoni ad aspettare gli uragani tropicali...

E a ricordare l'estate a spasso per le vie di Sassari e di Alghero...

Due anni fa in piazza Sulis avevamo visto una bellissima giostra a pedali, con i cavallini fatti da copertoni di macchina, il tipico tendone da carousel, e un gentile signore allampanato che alla fine della corsa distribuiva leccalecca di tutti i colori.
I bambini erano chiaramente innamorati, ma chiaramente troppo piccoli...
I cavallini che da lontano li avevano affascinati, una volta sopra, davano una sensazione di volo troppo intensa!
Giù tutti e via di corsa...
Altro che giostra!

Quest'anno invece, con la loro moneta da due euro in mano, si sono lanciati, hanno scelto il cavallino e sono montati.
Non saprei davvero come descrivere quei brevi istanti, se non come un volo.
Giuseppe li faceva ridere, e a ogni pedalata andavano più veloci, più in alto.
Vedevo sui loro volti la vertigine che tanto divertimento provocava (e anche un po' di timore dato proprio dal volo).
Era uno di quei momenti che sembra possano racchiudere tutta un'infanzia, semplice, vero, in cui ci si sente completamente abbandonati al presente.

Attorno giocolieri, acrobati, artisti di strada che affascinavano i passanti con i loro trucchi e le loro abilità.

Ma mi raccomando, se in piazza Sulis ci andate, share the love, people! mano al portafoglio e riempite i berretti che vi porgono a fine spettacolo, che se a teatro si spendono soldoni per vedere un'opera o un dramma, non è mica che gli artisti di strada lo facciano perché vivono di aria.

Un altro eventi a cui non abbiamo partecipato sono i Candelieri.
Ora, io questo evento non l'ho visto proprio ogni, ogni estate quando a Sassari ci vivevo, però ora che sono lontana, chiaro, addirittura mi manca...

Qui nel Far West texano, noi prof cominciamo a lavorare il 10 agosto (no comment, please, siamo sfigati), quindi ovviamente la faradda del 14 ce la perdiamo.
Il Colombiano e i bambini sono riusciti a vederla solo un anno che si cominciava più tardi del solito.
Ergobaby e bimbi in spalla, siamo scesi con i Candelieri e con loro abbiamo saltato.

Ma una volta siamo riusciti a vedere la faradda dei Candelieri piccoli.
E lì il mio cuore debole di mamma emigrata proprio non ha retto.
I piccoli che reggevano i mini Candelieri sono proprio i piccoli con cui mi sarebbe piaciuto che fossero cresciuti i miei, nella mia città.
Mini Candelieri sorretti da sassaresoafricani, sassaresocinesi, bambini, bambine, tutti insieme a cambiare una società che diciamolo, quando sono partita io era ancora un po' stantìa.
Con un solo elemento in comune, il sassarese!

Vabbé, vorrà dire che compreremo un paio di tamburi e ci eserciteremo a casa...

Un'altra cosa che manca, quando si sta lontani, è il baretto.
Perché un cappuccino e cornetto come me lo facevano al Bar Sechi in Viale Italia, a me non me lo farà mai nessuno a H-Town.
I baristi sono un po' come quelli dei bar nei film americani, che con un solo sguardo capiscono se è una giornata che andrà bene, male, o che magari si può cambiare con un consiglio giusto, con una notizia nuova o un mezzo ciarameddo, quelli che sostituiscono lo psicologo, il fidanzato e pure il dottore.
Così, con una frase, oppure facendoti trovare tutto già pronto e servito sul bancone che tu nemmeno ci eri ancora arrivata.

Artisti.

E pure santi.
Sì, perché ogni estate, dare retta ai miei due americani che ci mettono ben mezz'ora a scegliere che pasticcino chiedere e che magari cambiano pure idea, richiede una forza interiore zen non da poco.

Fra 600 giorni ci torno.

Comincio a contare i minuti...

La giostra che va a pedali, attrazione in piazza Sulis
Immagine inconsapevolmente donata dal sito della Nuova Sardegna
(mi scuso per il furto...)

martedì 11 agosto 2015

Come insegnare ai bambini il daltonismo e la ricchezza dei colori

"Sei tutta marrone."

Uno di quei momenti in cui guardi per terra, sperando che si apra una voragine e che ti inghiotta, senza lasciarti nemmeno il tempo di agitare la manina in segno di saluto.

Il panico.

Come marrone?
Ma sei impazzito???
Questa è una delle mie migliori alunne, io sono qui che faccio l'insegnante dagli alti principi e dalla mentalità aperta, quella che vuole un mondo migliore e diritti per tutti. Pure ti mando alla Montessori, che sono tutti più aperti, avanguardisti...
E tu mi fai il razzo-nazista così, senza preavviso????

Era appena finito un bellissimo evento nella mia scuola e stavo per riaccompagnare a casa un'alunna etiope che aveva partecipato e poi anche giocato moltissimo con i bambini.
Luca decide di invitarla a cena con noi.
Ok.
Poi, così, per fare conversazione, il mio adorato figlioletto, il mio fiore all'occhiello, guarda la mia bellissima studentessa e commenta.

Panico.

Lei, carina, gentile, un essere superiore, mi dice:
"È piccolo, non si preoccupi."

Non si preoccupi??
E come non mi preoccupo?
Se mi cresce nazi-razzista io cosa faccio????
Magari poi mi vota Salvini, io come reagisco???

Panico.

E allora, come sempre, mi rivolgo alla rete, alle mamme blogger, alle internet dipendenti, le tecnodrogate che hanno sempre a portata di mano una soluzione fai da te alle apocalissi familiari.

Sono centinaia, forse migliaia, le mamme che hanno posto lo stesso quesito, che hanno vissuto episodi simili, in preda allo stesso panico.

Mio figlio è un razzista?
Solo l'idea è raccapricciante...

Le risposte ai vari post, terribili: Dillo alla maestra! Tagliagli la lingua! Va stroncato sul nascere!

Poi per fortuna sono anche arrivata sul sito di Psychology Today.

Cose da fare per evitare che tuo figlio diventi razzista:
1. parlargli del razzismo
2. mostrare atteggiamenti antirazzisti
3. educare con esempi chiari alla convivenza pacifica e al rispetto reciproco

Fatto
Fatto.
Fatto e rifatto!!

Ma non solo: per qualche motivo i miei bambini hanno sempre avuto più amichetti afroamericani che bianchi. A volte con il Colombiano ci chiedevamo pure come mai non legassero se non con bambini neri.
Insomma, questa cosa ci ha preso completamente alla sprovvista.

E le mie letture su Martin Luther King? E Rosa Parks?

Non ho ben chiaro come o perché.
Il razzismo a volte permea una società in maniera molto sottile.
Come quando a una festa qualcuno ci aveva detto che Matteo "ci era venuto meglio" riferendosi al fatto che era biondo.
Per qualche motivo Luca stesso un giorno mi ha detto che Matteo poteva fare il capo, perché aveva i capelli d'oro.

Ho provato a spiegare scientificamente come le quantità di melanina varino da una persona all'altra, di come sia questo a rendere una persona più marrone di un'altra.
Magari ho insistito troppo.
Ora dice che io sono marrone dentro, ma coperta di panna fuori.

Forse è vero, forse è solo piccolo.
Forse ha solo notato una differenza.
Forse non è un razzista, ma solo uno che prima di parlare non accende la CPU che ha in testa.

Migliaia di forse.

Quello che è sicuro è che ha cinque anni, che a molti bambini della sua età capita di mettere in evidenza quello che vedono senza porsi il problema delle conseguenze, o forse proprio in cerca di scoprire quelle che saranno le conseguenze.

Insomma, da domani di razzismo a casa mia se ne parlerà di più, così come di differenze.

Di più, se possibile, visto che già se ne parla tanto.

Sicuramente bisognerà fare attenzione e spiegare tante cose prima che gliele spieghi qualcun altro.

Ma soprattutto non ci si abbandonerà ai forse, per non correre il rischio di perdere una bambino alla parte sbagliata della società, prima ancora che cominci a esserne parte attiva.

domenica 9 agosto 2015

Sardegna per bambini. Istruzioni per l'uso.



La Sardegna è un'isola montagnosa al centro del Mediterraneo.

Mare e montagna convivono in un armonioso contrasto, fra l'azzurro del cielo e i colori del mare, con le rocce che vi si tuffano e una fauna selvaggia dalle caratteristiche fiabesche; abitata da popoli fra i più diversi, che vi hanno lasciato tutti le loro impronte, senza mai riuscire a cancellare le orgogliose e imponenti tracce della cultura autoctona.

Quindi, se quello che cercate è un residence organizzato, animato da giovani aitanti e fornito di piscina, questo post non è per voi.

Al primo posto nella hit parade del mio cuore c'è il Nuraghe di Santu Antine.

Ogni territorio in Sardegna ha il suo nuraghe del cuore, quello preferito, quello storicamente più rilevante, quello con più vestigia del passato...

I ragazzini dela provincia di Sassari prima o poi finiscono sempre per andarci in gita a Santu Antine.

Io pure.

Ma l'amore fra me e questo nuraghe è un amore tardivo, nato quando portavo gli ospiti stranieri in giro per la mia isola. Alla ricerca della mia storia.

Della durata di poche ore, la gita al nuraghe diventava un viaggio nella storia e nei miti di una terra arcaica fuori dal tempo.

Un riscatto della terra, una risposta agli alberghi e ai tour con menù turistico.

Arrivavamo di solito verso sera, dopo essere arrivati nella Valle dei nuraghi con i suoi campi dorati e il sole che ci bruciava la pelle. Le guide ci raccontavano la storia del nuraghe, le scoperte archeologiche e le teorie, a volte contrastanti, sempre magiche, sulla funzione del nuraghe, sulla sua ingegneria, sulle civiltà che vi si sono succedute e su come scoprirle guardando le forme delle costruzioni.

Il Nuraghe era originariamente costruito come un castello medievale, ma secoli prima del Medioevo, con un gioco di torri e di scale che possono solo affascinare i bambini che le percorrono alla scoperta del passato.

Dal nuraghe riprendevamo la Seicento e ci avventuravamo fino alle Domus de Janas (case delle fate) di Sant'Andrea Priu.

In realtà si tratta di una necropoli, fatta di piccole grotte scavate nella roccia, in cui venivano riprodotte le caratteristiche delle case dei defunti, precisissime, con il tetto di paglia incurvato dal peso. E piccolissime. Per questo la fantasia popolare le aveva attribuite alle Janas, una sorta di fate sarde, parte della tradizione letteraria e della cultura locali.
Casette delle fate, perdute fra campi dorati e cielo blu.

Per i grandi, le guide raccontano l'avvicendarsi anche qui di varie culture e di come il loro passaggio avesse cambiato le grotte e i loro simboli.

Si finiva poi immancabilmente a cenare da Zia Forica, a Sassari.
Così come ci si finisce ora, ogni volta che si torna a casa.
Perché si mangia bene.
Perché si chiacchera bene.
Perché il ricordo delle frittelle preparate per noi ragazze ogni 8 marzo da zia Forica è duro a morire!
Sfido qualsiasi genitore con picky eaters a non trovare qualcosa che i vostri bambini adoreranno.
Una trattoria. A me piace di più zilleri.
Un porto sicuro dove rifocillarsi e gustare cucina vera.


Per chi non è soddisfatto da archeologia e tuffi nel passato, le estati in Sardegna sono ricche di sagre, festival, concerti, letteratura.
A volte riusciamo ad andarci, a volte no.
A volte per partecipare dimentichiamo anche che esiste il mare.

Quest'anno il nostro festival letterario con laboratorio per bambini è stato sostituito da un festival molto più articolato: Sulla terra leggeri, libri, laboratori, in giro per la città e al nuovo mercato civico.
Per grandi e molto per piccoli.

Per i cinefili c'è Sassari Estate Cinema e anche Amerindia, rassegna di cinema argentino ai Giardini pubblici.

Nel cuore anche Ittiri Folk Festa, un festival di musica e danze popolari, sia sarde che internazionali. Ce lo siamo seguito quasi ogni anno, portandoci dietro i bambini nell'Ergobaby, o sgambettanti sui loro piedi, fra le viuzze notturne di Ittiri, o al concerto di apertura al porto di Alghero. Sempre molto suggestivo.

Molti altri eventi, tanto che preferisco mettervi alla fine del post un link Sardegna eventi, un sito molto aggiornato dove potrete trovare quello che più vi interessa.

Ma ancora nel cuore due manifestazioni che per me hanno avuto il sapore dell'estate per decenni: Time in Jazz e Girovagando.

Il primo si capisce, è un festival jazz, nato in piccolo, fra soliti noti che andavano ai concerti armati di copertine di lana per proteggersi dall'umido e dal freddo notturno di agosto, per poi svilupparsi in uno degli appuntamenti più importanti dell'isola, con grandi nomi, mostre, in un paesino all'ombra del Monte Acuto, fra le rocce che noi in Sardegna chiAmiamo montagne. Un paesino tranquillo, orgoglioso e produttivo, che rinuncia volentieri alla sua pace e al riposo quotidiano per una settimana, per accogliere le schiere di giovani e non più tanto che affollano giorno e notte le piazze e le chiesette di campagna per i concerti.

Girovagando è un festival di teatro di strada. L'invasione della strada di decine di attori, mimi, gente strana, che portano colori, rumori, fuochi d'artificio e mangiafuoco a rivoluzionare la città insonnolita dal caldo. Un appuntamento atteso ogni estate, a chiusura delle vacanze, per riprendere un po' di energie e ricominciare l'anno. Quest'anno ancora non ho visto il programma... Vi metto il link così controllate da voi! Cercate anche qualsiasi cosa faccia il Theatre en vol. Sardissimi. Quasi. Decisamente. Ci hanno fatto sognare dagli anni '80 in poi e il mio cuore si spezza ogni volta che vedo che fanno qualcosa di nuovo e mi toccherebbe attraversare l'Atlantico a nuoto per vederlo...

Cos'altro cercare in Sardegna?

Fra i vari migranti che vi si stabiliscono, alcuni gruppi di fenicotteri hanno scelto Quartu e Oristano come loro dimora, e si mostrano vanitosi a binocoli e occhi di bambini e adulti. Preferibili le ore mattutine o serali. Così li vedete e non vi beccate neanche un colpo di sole.

E se poi proprio al mare non potete rinunciare ecco l'hit parade delle spiagge che preferiamo noi:
1. la Pelosa a Stintino
2. Pineta Mugoni ad Alghero
3. Maria Pia, sempre ad Alghero

La prima perché è fantastica, l'acqua bassissima, e ci abbiamo portato i gemelli fin da quando avevano pochi mesi: rischio annegamento zero, grande potenziale per nanna genitori (magari a turno per evitare perdite infantili).

La seconda perché ha una bellissima pineta proprio sul mare, che consente di non arrostire i bambini ma al tempo stesso di fare tanti bagni. Notevole inoltre la presenza dei paguri, con cui giocare di giorno e liberare in acqua la sera prima di tornare a casa (fate una cosa, liberate pure le conchiglie che avete raccolto, va, così ritrovate la spiaggia la prossima volta che tornate!).

L'ultima perché è bellissima, con la pineta sulle dune, la spiaggia grandissima, e le fontanelle per sciacquare piedi e non solo prima del rientro a casa (i nostri eroi si addormentano spesso in macchina al rientro a casa e a volte i piedi puliti ci consentono un agevole passaggio Seicento-letto, senza passare dal bagno).

Consiglio anti-stress: la Sardegna non è esattamente una meta segreta e nascosta, le orde dei turisti si fanno feroci in luglio e agosto. Al mattino fate gli intellettuali e andate in giro per nuraghi, lasciate le spiagge per il pomeriggio, anche non troppo tardi, e le troverete non dico vuote, ma almeno con lo spazio sufficiente per un ombrellone, degli asciugamani, secchielli, palette ed eventuali.

La notte musica, cinema e teatro e voilà! la vacanza è perfetta.

Ecco.
Adesso mi siedo un attimo in giardino a godermi i miei 37 gradi all'ombra e la mia umidità che te li fa sentire come se fossero 39...

E sogno la Sardegna.

Per ritrovare la strada:
Nuraghe di Santu Antine
Necropoli di Sant'Andrea Priu
Zia Forica
Sulla terra leggeri
Sardegna eventi
Ittiri folk festa
Amerindia
Time in Jazz
Girovagando
Theatre en vol



venerdì 19 giugno 2015

Calling all conductors!

Ieri sera leggevo i commenti dei miei alunni sull'ennesima strage, a Charleston.
Parlavano di razzismo, non per il fatto che un bianco abbia ucciso in una chiesa di neri, bensì perché quel bianco ha potuto uccidere, poi è stato arrestato civilmente e ora tutti si preoccupano della sua salute mentale, dell'orrore provocato da un'errata legislazione sul porto d'armi.

Nessuno lo ha chiamato terrorista.

Nessuno lo ha accusato di essere un violento massacratore.

Gli  è stato concesso di essere trattato come un essere umano in crisi.

Il rapporto con la giustizia in questo paese sembra ufficialmente gestito non a seconda del crimine commesso, ma del colore della pelle.

Quando sono arrivata ho insegnato per un anno alle elementari e ho imparato moltissime cose.
Abbiamo onorato il Black History Month con ricerche, letture, progetti sulla storia della popolazione afro-americana, sulle lotte per i diritti civili. 

Forse perché sono cresciuta con un libro su Martin Luther King in biblioteca, forse perché i ricordi di mia madre sul suo soggiorno negli Stati Uniti nel 1964 erano profondamente legati al mondo nuovo che gli americani avevano cominciato a costruire, forse perché avevo letto Malcolm X e perché mio padre guardava alla TV i combattimenti di Mohammed Ali quando ero piccola, o magari solo perché viviamo sulla stessa terra, ma quel mondo l'ho sempre sentito molto vicino.

Così per me Cincinnati è il Nationall Underground Railroad Freedom Center, un luogo di testimonianze, simboli ed eroici conduttori, che liberavano adulti e bambini per piccoli gruppi, di notte, quando l'oscurità li proteggeva e le stelle li guidavano verso i rifugi sicuri e la libertà.




Juneteenth
National Underground Railroad Freedom Center, Cincinnati
La festa dell'emancipazione Afroamericana - Wikiradio del 19/06/2015

giovedì 4 giugno 2015

Il blues dell'immigrato

Prima o poi, tutti quelli che emigrano, espatriano, lasciano il paesello per necessità, curiosità, incompatibilità con l'ambiente o solo per il forte desiderio di fuga, il paesello lo cercano.

Quando però il paesello è stato lasciato, tornare non è sempre facile.

Allora lo si cerca dove ci si trova.
In un ristorante.
In un bar.
In un gruppo etnico al quale improvvisamente si sente di appartenere.
In un gruppo su Facebook o in un blog.

Questa ricerca mi ricorda un video di alcuni anni fa, in cui una ragazza andava alla ricerca di umanità portandosi fra le braccia il suo cuore, enorme.

A ogni tentativo fallito di incontro il cuore rimpiccioliva, fino a che non trovava qualcuno con cui parlare.
Ogni contatto umano riportava il cuore a dimensioni gigantesche, e così anche le sue speranze di un'altra possibilità.

Chi parte lo fa sempre sapendo che lascia dietro di sè tutta una vita e un mondo che sarà difficile da mantenere a distanza, ma lo fa comunque, con la speranza che quello che troverà nel nuovo mondo sarà comunque meglio.

Le difficoltà puntualmente si presentano, soprattutto quando chi parte non è più uno studente, ma un adulto con un lavoro, magari una famiglia, tanti doveri e responsabilità.

Il nuovo paese, per quanto si sia grati di averlo trovato e di averci trovato nuove opportunità di vita, è sempre un altro paese.

Non si riconosce il cibo, le case sono diverse, le persone parlano strano, pensano strano, hanno sempre diversi modi di fare, che non riconosciamo come nostri e che ci creano una sensazione di destabilizzazione.

Si comincia a cercare qualcuno che ci assomigli, che ci parli in una lingua conosciuta e che abbia appetito per gli stessi sapori.
Le generalizzazioni cominciano a sembrare meravigliosi fattori di unione e cominciamo a pensare che solo chi viene dal nostro paesello potrà veramente capirci.
Nel bene o nel male, l'umanità sembra rappresentata solo da chi viene da dove vengo io.

E allora si prende il cuore e si scende per strada.
O si va in un centro culturale.
O timidamente si chiede di far parte di un gruppo su Facebook.
O si manda un messaggio per chiedere l'amicizia.

Con il cuore in mano, pieno di possibilità.

Ora, è evidente che la sola provenienza dallo stesso paesello non basta.
Se il paesello poi è l'Italia, abbiamo 20 possibilità contro una che il cibo non sia lo stesso, la lingua neppure e usi e costumi varino infinitamente.

Parliamo poi del fatto che abbiamo comunque "chentu concas, chentu berrittas"?
(Mi scusino gli stranieri italiani della penisola...)
Le idee sono immancabilmente diverse.
I sogni pure.

Insomma, nella nostra ricerca torniamo spesso a casa con il cuore rimpicciolito.

Ma i più coraggiosi non mollano, ripartono alla carica, si caricano il cuore in spalla e partono alla conquista di nuove amicizie e di nuovi affetti.

Anche perché, per una questione di probabilità, qualcuno in giro si troverà pure!

Enjoy!

martedì 2 giugno 2015

Due per tutti! Tutti per due!

Quando il ginecologo ha chiamato (eh, la sanità in Colombia... Il medico chiama te, non tu lui...) per dirmi che sarei diventata mamma ha usato le parole "molto incinta".

Sapevamo già che gli embrioni impiantati erano tre (sì, i nostri figli sono sintetici), ma anche che alla mia bella età di 39 anni era difficile anche portarne avanti solo uno.

Io invece ero "molto incinta".

Il Colombiano chiaramente felice come una Pasqua.
Io più che altro stordita come dopo una forte dose di anestetico.
Lo Zio Alberto ha potuto solo biascicare un "Mierda..." e spalancare gli occhi come se avesse davanti due folli pronti a rovinare il loro futuro vo-lon-ta-ria-men-te.
Da rinchiudere.
Noi.

E da rinchiudere era proprio il Colombiano, che, vista la grande emozione, ha anche invitato il pubblico alla prima ecografia! Ora, non scendo nei dettagli, ma per quanto amici del cuore, la PRIMA ecografia, quando ancora gli embrioni sono proprio piccoli, piccoli, non è esterna!! E così a vedere quelle celluline e quei cuoricini minimi battere per noi eravamo in 5!!! I nonni adottivi erano lì e li hanno visti con noi.

3 adulti in lacrime. Io no. La posizione pubblica mi aveva tolto la commozione.

Da prima che nascessero, ci siamo innamorati di quelle due cosine, che avevamo visto al microscopio fin dai loro primi giorni di vita di quelle quattro celluline iniziali.
(Nessuno si emozioni e mi consideri una sostenitrice del movimento per la vita e intolleranti simili, please. Erano solo l'utero mio, gli embrioni miei. MAI giudicherò io gli uteri e gli embrioni altrui.)

Siamo corsi a comprare libri sui gemelli, sulle gravidanze gemellari, sul baby wearing gemellare, su come allattarne due, coccolarne due, e su come riuscire a non impazzire dividendosi in due fin dall'inzio.

Su quest'ultimo punto abbiamo trovato MIGLIAIA di consigli, teorie più o meno complicate, tutte più o meno rigide, con tabelle da compilare ogni tre ore su quanta pappa, quanta cacca, alcune consigliavano anche di contare quante coccole...

Gli orari e i calendari sembravano essere la chiave di una vita serena e armoniosa.

Mettiamola così: quando una donna (io) torna a casa dall'ospedale dopo una settimana di misuramenti della pressione, dell'ossigeno e chi più ne ha più ne metta, a ogni ora della notte, alle tabelle degli orari delle pappe e delle cacche io do un tre giorni.
Anche meno.

L'unica cosa che mi dava ordine alla vita era la sveglia.
Ogni tre ore, per pappa-cambio-pannolino doppi.
Cambi uno. Coccole. Biberon (io, secca come il letto di un fiume in agosto!). Coccole. Nanna.
Repeat.

Per aiutarci, nella notte fonda, quando non ci riconoscevamo nemmeno noi e avremmo rischiato di cambiare e allattare un cuscino al posto dei nostri figli, in camera avevamo un piccolo esercito di biberon multicolore, con la dose esatta di latte in polvere già dentro e un mega thermos di acqua calda per non andare neanche a scaldare quella...
Come zombie ci si alzava, si versava, si shakerava, e si serviva il cocktail ai clienti, che ubbidienti ciucciavano, senza grandi emozioni, ma serrandoci le dita fra le loro, restituendoci così uno straccio di umanità e ricordandoci che eravamo diventati babbo e mamma.

La mattina il babbo andava a scuola, con il sorriso sulle labbra e le occhiaie sotto gli occhi.

Mia zia, nonna improbabile in prestito, col suo body fucsia luminescente, reduce dalla ginnastica mattutina, entrava come una dea della bellezza greca in camera, sussurrando parole d'amore ai miei ometti in miniatura. Novella Circe dance anni '80, se li portava in camera sua per ammaliarli di coccole e gorgheggi a cui loro non sapevano resistere.

E ogni giorno mi regalava le due ore di sonno, dalle 8 alle 10, più meravigliose che io abbia mai sognato.

Anche noi, fin dall'inizio, abbiamo dovuto dare i milioni di risposte alle domande brillanti che ci venivano fatte solo perché avevamo due gemelli.
No, non sono uguali.
Sì, li riconosco.
No, not double trouble, double love.
Sì, ho tanto da fare.
No, they are not IDENTICAL.
Ora, non vorrei fare la maestrina dalla penna rossa, ma la parola IDENTICO cos'ha che la gente non la capisce???

I nostri ometti non sono identici, né fisicamente, tantomeno caratterialmente.
Sono proprio agli opposti.
Fin da quando scalciavano nella pancia, lo facevano in modo diverso.
Quando sono nati, abbiamo capito subito chi era chi.

E anche crescendo, le differenze sono sempre state milioni.

In realtà non li abbiamo mai considerati "i gemelli", sono sempre stati i nostri due bambini, Luca e Matteo.
Due, ognuno unico e diverso.
Come ogni figlio andrebbe considerato.

I nostri sforzi sì, quelli sono stati doppi.
Su e giù dalla macchina.
Due manine per attraversare.
Due bambini da rincorrere al parco.
Due torte al compleanno.
Doppi pannolini (ah, i doppi pannolini!!).
24 biberon per coprire tutti i turni ogni tre ore.
Doppi cambi da mettere in borsa.
Doppie spese, fin da quando andavamo dall'esperto prenatale, per poi continuare al nido e poi al doposcuola.
Doppie borse sotto gli occhi.
No, quelle quadruple.

E double love. Tanto, tanto double love!

lunedì 1 giugno 2015

Houston per bambini - Seconda parte

È evidente che dopo nove anni a Houston, se sono ancora qui è perché in fin dei conti mi piace.

Nonostante cederei volentieri tutti i vantaggi di vivere in una grande città per tornare al paesello, non posso non ammettere che le possibilità che questa città offre a me e ai miei bambini sono infinite.

E così ne condivido ancora qualcuna.

Ogni estate il comune offre la possibilità di fare i pesciolini, anche a chi la piscina a casa non ce l'ha. E per giunta, gratis! Corsi di nuoto e accesso alle piscine comunali all'aperto per tutti!
Acquatics

Per chi poi vuole educare i bambini a fare la loro parte nella società (ricordate che saranno loro a decidere che fine faremo da vecchietti... Meglio abituarli alla generosità!), Houston ospita la più grande Food Bank degli Stati Uniti. Ci sono moltissime possibilità  per far partecipare i piccoli (ma anche e soprattutto i grandi): si possono fare raccolte di generi alimentari a scuola, si può partecipare al lavoro di distribuzione, o anche solo andare agli eventi che organizzano per i più piccoli
Houston Food Bank

Proprio per la necessità di riempire i pancini, il distretto di Houston (Houston Independent District) per tutta l'estate offre colazione e pranzo ai minorenni disagiati (ma non ti chiede se sei disagiato, ti invita solo ad entrare e servirti!).
HISD Free Summer Meals

E se volete gustare un po' di buona cucina texana per colazione, in un ambiente familiare e con un menù probabilmente mai provato prima, decisamente va fatto un salto al Breakfast Klub. Attenzione però: la fila diventa facilmente lunghissima!! Meglio arrivare presto per il brunch domenicale.
Breakfast Klub

Un altro luoo speciale per le colazioni del fine settimana (o il pranzo, o il brunch, come volete!) è l'Empire Café, un ristorante molto caratteristico, circondato da negozi di antiquari sulla Westheimer nel nostro meraviglioso quartiere di Montrose. Grande varietà di piatti, un cortiletto fresco per sfuggire al caldo e tanti bambini attorno.
Empire Café

Se poi, oltre a rinfrescarvi in piscina, rendervi utili e riempirvi il panzotto, volete anche scegliere qualche bel libro per gli assolati pomeriggi estivi all'ombra di un albero, ci sono moltissime biblioteche, fornitissime anche di libri italiani per grandi e piccini!
La nostra preferita è la Freed Montrose, sia perché è a due passi da casa, sia perché nella sezione bambini ci sono un orso e un cane di peluche giganti molto comodi per sprofondare nella lettura!
Freed Montrose Public Library


E se si fa sera e siete ancora a spasso con i vostri meravigliosi piccoli amici e vorreste invece starvene un po' tranquilli ad ammirarli a distanza... Uberrito!! Sulla West Alabama, provvisto di piccolo parco giochi per bambini. Loro giocano, voi sorseggiate una bella margarita seduti sotto gli alberi...
Uberrito

Se non siete tipi da margarita, ma volete comunque passare l'estate in mezzo alla natura urbana, niente di meglio di Hermann Park, con il giardino giapponese, il verde, i pedalò sul laghetto e quando scende la sera, magari ricordatevi di portarvi dietro un plaid o un asciugamano e via, tutti al Miller Outdoor Theatre, per godersi all'aperto, sotto le stelle uno dei meravigliosi spettacoli al fresco.
Miller Outdoor Theatre
(non dimenticate di andarci a luglio, per i fuochi artificiali della festa dell'indipendenza!

Vi penseremo il 4 di luglio, a bagno nelle acque della Pelosa di Stintino!

(Scusate, non ho resistito! Houston vabbé, ma Sa Sardigna nel cuore!)

mercoledì 13 maggio 2015

Boicottaggio materno. Costruire un mondo migliore facendo la mamma.

La mia mamma non era molto etica. Ai suoi tempi era difficile capire perché una bambina di otto anni poteva non trovare tenero giocare con la pelliccia di Ocelot.
"Guarda, è come abbracciarlo!" mi diceva accarezzando la nuova giacca.
"Eh, morto però."

Capirete bene che i problemi generazionali erano tanti.

E ancora di più ne avremmo ora, se fosse ancora qui.

Per esempio: io a fare la spesa vado armata di IPhone e della mia fedele alleata, l'app Buycott! Una piccola meraviglia tecnologica in cui ho introdotto, in ordine di priorità, tutte le campagne ecologico-politico-umanitarie che sostengo. Il piccolo congegno digitale scannerizza il codice a barra e voilà! salta fuori se il succo o il latte o i biscotti nel carrello della spesa potrebbero trasformarsi in armi di distruzione di massa dei miei principi etici.
(Sarà per questo che il Colombiano si rifiuta di fare la spesa con me? Mah...)

Uno dei prodotti che la mia fida alleata per qualche strano motivo non mi chiede di evitare è la Nutella.
Sarà che anche Buycott è semplicemente fan di questo prodotto divinamente pericoloso, per cui, diciamolo, si darebbe anche la vita...

Però non si dà!

Si decide invece di farla in casa, spendendo chiaramente fior fior di dollaroni in più per comprare ingredienti sani, nutrienti e senza il nemico olio di palma.
Ecco la Ricetta: http://www.tuttogreen.it/nutella-fatta-in-casa/

Così come lo yogurt, la pasta, in generale tutto il mangereccio a casa mia è fatto in casa, anche la magica apple sauce, pappina di mele cotte, che fa tanto bene ai pancini.

Chiaramente la Gerber o chi per lei non ha guadagnato nemmeno un centesimo dal nostro svezzamento.
La nostra guru è stata l'autrice di un bellissimo libro, che ho poi scoperto essere mamma di gemelli anche lei! 
Ricette semplici, dispendio energetico ed economico minimo, pancini soddisfatti!


Il menù della guru è inoltre fondamentalmente vegetariano, quindi speravo di poter incoraggiare i miei piccoli a seguire il regime alimentare della mamma.

Tutto perfetto.
Finché il Colombiano non ha presentato una salsiccia a Matteo...
I canini sembrava gli si allungassero solo alla vista delle proteine animali...

Battuta da una salsiccia.

Oh well...
Mai sposarsi con un carnivoro...

Luca tentenna fra vegetarianesimo, pescatarianesimo e "mangio solo le mucche nere"...

Spero sempre che capiranno da grandi.

 Per me la cucina deve essere fatta in casa, anche quando è solo un panino al formaggio, una mela e uno yogurt per il pranzo della scuola.

Il fascino del precotto, del vassoio della mensa e di quei bei piatti fritti, però, ha decisamente corrotto Luca.

Quest'anno è arrivato uno dei magici messaggi registrati della scuola, che diceva che "Lo studente Luca Pinco Pallino deve $2.75 al Servizio Mensa".

Strano, ho pensato: noi a scuola gli mandiamo il pranzo tutti i giorni...
Tornata a casa ho chiesto al mio signorino conto della telefonata e lui si è fatto prendere dal panico: 

"Ti ha chiamato la scuola???"

Lì ho capito che c'era sotto qualcosa.

Il vassoio e il precotto avevano vinto!

Luca aveva fatto finta di non avere il pranzo per poter mangiare le stesse cose dei suoi compagnetti ed era andato a mangiare alla mensa. E ora arrivava il conto.

"No, mamma! Ho pagato io! Con la carta, come fai tu al supermercato!"
Peccato che la sua, di carta, fosse solo il tesserino identificativo della scuola...

Allora ho provato a dirgli che se voleva, mamma lo faceva mangiare alla mensa, ma che bisognava dirlo e pagare.

La grande felicità dei pargoli è durata poco: 
Servizio Mensa - Mamma, 0 a 1!

Sono tornati dopo due giorni, dicendo che faceva schifo e rivolevano panino, yogurt e mela!

Evviva!

Come mamma che lavora, ho sempre un po' paura di non dare abbastanza di me ai miei piccoli.
Magari per questo ci tengo tanto a compensare col fai-in-casa-da-te.

Ognuno ha le sue fisse!



martedì 12 maggio 2015

Omero a 5 anni

Stasera osservavo i miei bambini scegliere fra l'Iliade e la Divina Commedia come favola della buona notte. 

Non so come mi è venuto il raptus.

Qualche giorno fa cercavo dei libri che potessero ispirare i miei cinquenni e mi sono ricordata della passione di Luca per Occoli (Hercules, in inglese, ma quando lo chiama lui suona più così).

Il salto da Occoli a Omero è stato breve.

Amazon ha suggerito il resto.

Vedere mio figlio che si emoziona a scoprire le macchine di Leonardo e a riconoscere la Gioconda, che la maestra aveva già mostrato in classe, ha probabilmente emozionato me molto di più.

Il mio biondino invece, a vedere tutti quei libri, e il fratello che qualcosa lo conosceva già, si è fatto sopraffare e non si è avvicinato.

Stasera però ha avuto il coraggio di dare uno sguardo, ha visto le immagini, i soldati, gli eroi e gli dèi, così simili ai personaggi dei suoi cartoni animati.

L'opera di coinvolgimento è stata facile.

Per Luca è stato sufficiente sentire il nome di Zeus.

Zeus!!!

Grande emozione!

Al doposcuola dei bambini più grandi fanno loro catechismo non richiesto, ma Luca è affascinato dall'idea di un dio e fa domande di ogni tipo...

Non vi dico quindi come sfogliava La Divina Commedia, guardando le immagini accattivanti del libro.

Certo, sono adattamenti delle versioni originali, ma io spero di installare in loro l'amore per la letture, per i classici, per la simbologia e le figure retoriche.

Da grandi saranno ingegneri, dottori, meccanici, idraulici, poeti o artisti.

Quello che li farà felici.

Qualsiasi vita avranno, spero troveranno lo spazio per un libro nello zaino.







domenica 10 maggio 2015

Auguri, mamma!

È arrivato uno dei miei giorni preferiti dell'anno.

I miei bambini si preparano, si alleano con il papà per scrivere bigliettini pieni di amore, offrirmi profumi e poesie e portarmi fuori a colazione (o pranzo, o cena, un po' come capita).

Una gioia per loro, che fanno una sorpresa alla mamma, una gioia per me, che ricordo il momento in cui per la prima volta ho detto all'infermiera dell'ospedale che ero "Luca and Matteo's mom".
In quell'istante un'ondata di emozioni mi ha travolto e ho capito che davvero ero diventata una mamma.
Per mesi avevo solo giocato ad esserlo.
Alla mia età una gravidanza era piena di rischi, per la mia salute, quella dei bambini, la loro stessa esistenza era a rischio ogni istante.
Così avevamo deciso di giocare a fare i genitori per nove mesi, sperando di poterlo essere anche negli anni a venire.

Dire che ero diventata la mamma di Luca e Matteo mi ha riempito di gioia, ma anche di perplessità.
Riconoscevo tutte le difficoltà di quel ruolo, ne studiavo tutti i limiti e tutti gli orizzonti.
E ancora ora, sono ben lontana dall'aver imparato.

La giornata di oggi è stata marcata da un'ombra, due, mille.

Un figlio oggi non starà con sua madre.

Ho vissuto quella paura da quando sono nati i miei figli. So che è un dolore a cui non sopravviverei. O forse sì, si sopravvive a tutto in fondo.

Una madre è stata poco accorta, ha pensato che nessuno scoprisse cosa succedeva fra le pareti domestiche, che nessuno se ne sarebbe interessato.
Ma il figlio ha avuto fiducia negli altri adulti della sua vita.
E oggi una madre ha passato questa giornata senza di lui.
Per quanto difficile sia vivere insieme, per quanto esistano abusi, violenze, disturbi mentali, il distacco da un figlio deve essere un dolore insopportabile, lacerante. Così come per un figlio il distacco dalla madre.
Su questo contava lei. Sulla dipendenza reciproca che non spezza il legame dell'abuso.

Un'altra madre non starà con suo figlio oggi. Glielo hanno ucciso, per una violenza profonda e inspiegabile, che divide famiglie che abitano lo stesso territorio.
Senza una guerra, senza disastri naturali.
Per vendette ataviche che ancora portano morte e strappano giovani vite dalle loro madri, nel cuore di una Sardegna ricca di cultura e tradizioni, in cui qualcuno decide di rispettare dei riti che la riportano indietro nel tempo di millenni, anziché verso il futuro.

Un'amica ha condiviso oggi un post, in cui si discuteva se festeggiare o no una festa che celebra la donna come madre, quando la donna è molto di più; se è ancora appropriato che il ruolo della madre, e non di un genitore, lontano da ruoli tradizionali, debba essere considerato speciale, in un mondo in cui le famiglie hanno due madri, o due padri, o solo un genitore, o nessuno; ci si chiedeva in questo post, tutti insieme, non in una baruffa gender o non gender, femministe contro le altre, ma come donne, o uomini, o esseri umani in un mondo che cambia e che rispetta, se non sarebbe meglio avere piuttosto una festa del genitore o invece un diverso approccio all'idea di maternità legata al quotidiano, non a un giorno di maggio con fiori e cioccolatini.
Mi piace che si discuta, che si metta tutto in discussione per creare un mondo diverso, con valori nuovi che diano luce all'umanità in ciascuno di noi.

Penso però a quanto è stato difficile per me diventare madre, per molte delle donne che conosco, penso a chi non ha potuto realizzare il suo sogno. Ma anche a chi vive la maternità con tutte le difficoltà che comporta: i compromessi per il lavoro, per la propria identità, per la sopravvivenza, spesso solo per riuscire a tenere i propri figli con sé, per crescerli felici o almeno limitando i danni.

Il dolore del fallimento fa parte di ognuno di noi, ma anche la gioia di farcela, quando ce la si fa. E credo che questa festa sia una scusa, per riunirsi con i propri figli, a festeggiare che nonostante le difficoltà si continua a vivere , a volersi bene e a ringraziarsi di essere insieme e a farsi promesse per costruire un mondo più giusto per tutti. Come mamma.

Giovedì andrò a scuola con Luca e Matteo per la festa dei genitori. Mi prepareranno e mi serviranno la colazione. Per ringraziarmi di tutto quello che faccio per loro. E ci sarà anche Juan, perché è il papà. E ci saranno i papà, le mamme, gli adulti della vita degli altri bambini, a cui i loro piccoli offriranno la colazione.

E sarà una bella festa per tutti.

Un mondo migliore.


martedì 5 maggio 2015

I don't like you

Me l'ha detto così, all'improvviso.
Davanti alla televisione.
Poi ha indicato i punti rossi sul mio braccio e ha aggiunto: "You're spooky".
Il mio bambino, proprio quello fra i due che è sempre stato più attaccato a me, quasi che solo la mia presenza o il mio abbraccio potessero far tornare il mondo alla normalità, come se solo io potessi allontanare i mostri della notte e vincere i nemici immaginari, proprio lui, mi ha ferito a morte.

Non mi piaci.

Se lo avessi letto su uno dei libri di istruzioni per bambini, non ci avrei creduto.
Come può un figlio tuo, che ami e adori alla follia, dirti che non gli piaci.

I don't love you.

Per rincarare la dose.
Me lo ha detto di nuovo, più volte.
Dopo averlo detto aveva l'espressione di chi è spaventato dalle sue stesse parole, come se fossero diventate un'arma nucleare in grado di distruggere tutto. E meno vuoi farlo, e più ne hai paura, più lo dici, come se un mostro si impadronisse di te.

Lo stesso mostro che spaventa me, quando alzo la voce con  te, perché sono stanca, perché la vita ha il sopravvento e mi dimentico che sono la tua mamma, che dipendi da me, che hai bisogno di tutta la mia attenzione, non delle ore in più di lavoro.

Mi sono spaventata così tanto che sono andata a cercare nella mia sfera di cristallo (tutte le streghe ne hanno una).
Ho scoperto che siamo in tante. Che molti bambini decidono di dire I don't like you alle loro mamme. In tutte le lingue del mondo.
Quando vanno di fretta, hanno i minuti contati, quando dicono troppo di fare silenzio, la nanna, i compiti, di fare da bravi che mamma ha da fare.

Coi pugni chiusi mi hai detto ancora che non ti piaccio.
Mi hai visto triste mentre ti dicevo che anche se io non piaccio a te, tu a me piaci molto e ti voglio bene. E te ne vorrò anche se tu non me ne vorrai più. E non alzerò più la voce perché ti spaventa. Cercherò di ricordarmi che io sono grande. Tu ancora no.

Poi è arrivato Juan e gli ha parlato di quanto la mamma era triste perché il suo bambino non le voleva più bene.
Si è stupito. Forse pensava che fosse ormai impossibile rimettere insieme i cocci di un cuore spezzato per ricominciare tutto come se niente fosse.
È venuto da me e mi ha abbracciato.

Ora se gli chiedo: "Mi vuoi bene?"
Mi dice di sì.

Non come se niente fosse.
Abbiamo imparato tutti e due come volerci bene.
Io so che devo ricordarmi che lui esiste e che ha bisogno di me e dei miei sorrisi solo per lui.
E lui ora sa che con la mamma può sbagliare, che lei sarà comunque lì ad aspettare che torni.

domenica 8 marzo 2015

Le mamme-propaganda


Adoro le mamme blogger.

E quelle che fanno i video su YouTube per insegnarti a usare un passeggino, a montare un seggiolino per auto, o le contorsioniste che ti insegnano a usare il Moby o le fascie portabébé all'africana, e come giocoliere affannate fanno volare i loro bambini davanti, dietro, su un fianco, sudando, per mostrarti che non devi avere paura a fare la mamma, che è tutto semplicissimo.

Amo le mamme scrittrici, quelle che scrivono libri utili, consolatori, tristi, allegri.

Quelle che sono mamme e felici di esserlo.

Quelle che ancora si chiedono quale valanga le abbia travolte e come riuscire ad arrivare al giorno dopo.

Una certa mamma blogger però mi fastidia.

Molto.

MOLTISSIMO.

E probabilmente non è nemmeno sola, sicuramente la seguono in tanti/e.

Magari è anche la più ammirata dell'universo e ha un conto in banca che piange meno del mio.

Ero incerta se scrivere o no di lei, perché proprio vorrei evitare di farle pubblicità in qualsiasi modo.

Ma poi mi sono chiesta: sarà l'unica??
Ci saranno altre mamme che usano internet per pubblicizzare sottomissione e disciminazione?

Per quanto riguarda la sua sottomissione, mi preoccupo e non mi proccupo.
Vuoi sottometterti?
Fai pure.
È proprio la pubblicità e il metterlo online che mi preoccupa.

Perché io, appena sono nati i miei bambini ma anche ora, nei momenti di sconforto o quando semplicemente ho bisogno di conferme, guardo un po' qua e un po' là cosa dicono le altre, quali sono i canoni vigenti su come una mamma-donna-moglie moderna deve comportarsi.
Salvo chiaramente non seguire poi nemmeno le regole da me stessa riconosciute come valide...

Insomma, io comunque cerco, mi confronto, leggo e ascolto.
E ci sono alcuni momenti in cui, a seconda di quello che leggo, mi metto in discussione.
Magari sbaglio. Magari devo cambiare tutto. Magari veramente il modo di pensare di questa mamma è quello giusto e io sono un fallimento.
Momenti di debolezza e pessimismo che penso abbiano tutte.

Ho preso le distanze da una religione in cui mi rispecchio solo in momenti di poca lucidità e i cui ideali condivido solo quando si parla di tolleranza e di accoglienza dell'altro...
Quindi praticamente mai in questo momento storico.

Questa signora, sfacciatamente cattolica, non ha fatto che allontanarmi di più da un mondo retrogrado che sfortunatamente anziché progredire, sembra voler tornare a delle origini buie e medievali.

Sottomessa? Ma sottomessa a chi? A mio marito? Ai miei figli in quanto uomini?

Ragioniamo.

Non nascondo che probabilmente Il colombiano spesso e volentieri sogni una donna docile, sorridente, accudente, che si occupi della casa, dei panni, dei piatti, di riempirli, lavarli, riporli.

Credo anche però che apprezzi il doppio salario a scadenze regolari, soprattutto quando si avvicinano le scadenze, la responsabilità condivisa e una donna che nei momenti di crisi prende in mano la situazione e da pirata coraggiosa salva il salvabile.

Certo che sarà anche orgoglioso di sè, quando il salvabile lo salva lui e corre in mio soccorso come un guerriero sul suo cavallo bianco.

Penso anche che, nelle serate in cui si occupa lui dei bambini aspettando il rientro dal mio secondo lavoro, sia orgoglioso di mostrare ai suoi figli che è capace anche lui di cucinare, riordinare (... vabbé, è che oggi sono di buon umore...), fare il bagnetto e leggere le storie della buona notte.

Chi può desiderare un compagno o una compagna sottomesso/a? Sarebbe come avere per partner un mulo da soma, ma nemmeno, un'amoeba, una gelatina... Quale persona, in piena salute fisica o mentale potrebbe pensare a una persona sottomessa come compagna di vita?

Infatti, dicono i critici a cui libro e blog della signora sono piaciuti, lei era ironica.
Il titolo sarà ironico, il contenuto sarà scritto in stile leggero-brillante (onestamente a tratti io ho sorriso...), ma il titolo e le idee medievali restano.

Io lo definirei un libro talebano. I Sentinelli di Milano lo hanno classificato come terrorista.
Come non essere d'accordo?

Quando i princìpi su cui si basa una famiglia, un matrimonio sono l'accudimento dell'ovviamente inetto sposo e la trasformazione in tappetino lacero della moglie, in un paese dove la violenza sulle donne ha dimensioni tali da essere diventato un crimine a sè e per giunta in grande aumento.

Perché l'idea della sottomissione, che questa cara signora usa con ironia, non ha proprio niente di ironico. È costantemente presente nella mente malata di tutti quegli uomini che non essendo capaci di tenere testa a una donna che possa avere le sue idee, una maniera diversa da loro di vivere la vita, decidono di sottometterla. O sottomessa o morta, cara signora Miriano, è così che in molti vogliono la donna.
Capirà dunque che almeno io non apprezzi il suo umorismo.
E non solo io, ma tutti quelli che in una donna vedono ben più della metà di qualcun altro o della madre degli uomini futuri.

Terrorismo, cara signora, questo è quello che fa lei, e nella sua tela di ragno fa cadere le donzelle ingenue che credono alle sue facili battute sulla vita quotidiana.

Breve elenco delle espressioni da lei usate che dovrebbe seriamente riconsiderare:
(dal suo blog sfortunatamente accessibile anche a chi il libro non o compra)

"Anche noi quindi dobbiamo uscire dalla logica del potere, capovolgerla completamente. Innanzitutto perché la sottomissione non viene dal deprezzamento, non la si sceglie perché si pensa di non valere. E poi perché è il frutto della scelta della donna è il fatto che l’uomo sarà pronto a morire per lei."

Ma a lei glielo fanno vedere il telegiornale di tanto in tanto?
Ce lo dà il numero di quelli che morirebbero per una donna?
Di solito si vedono quelli che la fanno fuori.


"Quanto ai ruoli e ai rapporti di forza tra i sessi devo a malincuore ammettere una cosa. Essere donna mi ha procurato solo vantaggi: ignoro se la mia auto possegga una ruota di scorta, ed eventualmente dove si nasconda, la subdola. Non ho la minima idea di come, attraverso quali misteriose vie la mia casa venga rifornita di energia elettrica, calore, gas. Posso guardare Sex and the city e trascorrere svariati minuti a scegliere uno smalto senza perdere il mio prestigio, perché la mia frivolezza è ormai socialmente ammessa. Ho avuto il privilegio incommensurabile di ospitare e sentir muovere quattro bambini nella pancia, anche se, lo ammetto, nei momenti di farli uscire l’aspetto del privilegio non mi è sembrato il più evidente.
Non ho mai subito discriminazioni di genere. Al lavoro capita di non essere apprezzati e valorizzati, ma capita agli uomini e alle donne. E la riuscita professionale è determinante per l’identità di un uomo. Conosco molti, moltissimi uomini demoralizzati, a volte depressi per come vanno le cose nel mondo del lavoro, per la prepotenza, la mancanza diffusa di meritocrazia e professionalità."
Lei non ha mai subito discriminazioni di genere QUINDI queste non esistono.
Un tantinino autoreferenziale no?
"La sottomissione alla quale mi hanno invitato tante persone sagge che ho conosciuto, e che io a mia volta ho proposto nelle lettere alle amiche, è il desiderio leale e onesto di servire lo sposo. Un servizio che, lo dico per l’ultima volta (e se qualcuno me lo chiede ancora mi suicido ingerendo questo pacchetto di nachos direttamente con la busta) può non entrarci niente con chi carica la lavastoviglie. Può significare accogliere le inclinazioni dell’altro, per esempio non organizzare una cena che a lui non va, oppure organizzarne un’altra che lui vuole. Cercare di indovinarne i desideri, anche perché essendo tutte noidesperate fishwives, sappiamo che un uomo, muto come un pesce per quel che riguarda se stesso, difficilmente esprimerà i suoi desideri in modo aperto e lineare."
L'uomo dunque accettato come idiota e pure sordomuto incapace di comunicazione.
Signori uomini, se a voi questa è simpatica, peggio per voi.
L'elenco di citazioni sarebbe infinito.
Non sono tempi di sottomissione questi, sono tempi di unione, non tempi di dare consigli alle altre donne, ma piuttosto di dare coraggio, dignità e valore.
Vuole servire il suo uomo? Prego!
Ma non si metta a dire alle altre come gestire le loro relazioni o su cosa basarle.
Le donne per me sono quelle che a volte condividono e altre volte invece chiedono, pretendono, quelle che se vogliono essere ascoltate lo fanno sapere con tutte le tonalità che conoscono, e che devono sapere che per questo non verranno punite, per eccesso di presunzione o per volere occupare un posto che a loro non spetta.
Per carità, non sottomettiamoci!!!
Mettiamoci accanto piuttosto, mettiamoci insieme.
Al nostro compagno, compagna, alle nostre amiche e ai nostri amici, alle nostre figlie e ai nostri figli, per crescere in pari dignità, con pari diritti.
Buon 8 marzo!
Immagine cortesemente rubata ai Sentinelli di Milano