Nel periodo delle feste la nostalgia si fa sentire e viene voglia di tornare a casa.
Da poco su Facebook ho avuto uno scambio di idee con un'amica.
Ho postato (scusate):
- Seriously homesick.
Risposta (o domanda, vedete voi):
- Where are you?
- At home.
- Which home are you missing then? Or are you sick of being home??
Il concetto di casa è molto variabile, multiplo, sconcertante, confortevole e confortante.
Secondo Paul Young bastava poterci poggiare il cappello per chiamarla tale.
Io cos'è non lo so esattamente.
So che a volte vorrei andarci, mi ci vorrei identificare, vorrei avere la sensazione di esserci.
Uno dei pochi momenti in cui mi sento totalmente a casa è dopo un viaggio. Per me è la valigia che bisogna poggiare, non il cappello. Forse perché il cappello non lo porto.
Disfare la valigia mi dà la sensazione di essere arrivata. Por fin! Giunta alla meta agognata, al luogo dove finalmente posso riposare dopo un periodo di instabilità, tempeste, aerei, navi, treni.
Sensazione che provo a Houston dopo l'estate, in Sardegna all'arrivo da Houston, indistintamente.
Dovunque trovo quiete dopo la tempesta.
La sensazione della casa la provo anche però quando vedo un panorama di Mosca, del Cheshire, di Parigi, di Madrid, se sento una musica conosciuta, una lingua che capisco.
Anche Medellin è casa, non tanto per esserci vissuta a lungo, ma perché ha dato origine, in un modo o nell'altro, agli uomini più importanti della mia vita.
La casa è uno stato mentale.
Quando infatti un luogo non mi sembra casa, basta che un pezzo di un'altra casa arrivi a trovarmi, amici, un pacco, una cartolina, e immediatamente la non casa si ritrasforma in casa.
E per i miei figli?
Fondamentale ora far sì che identifichino la LORO casa, con la MIA casa, perché ça va sans dire che loro sono parte integrante di qualsiasi valigia da posare a CASA.
Strazianti alcuni viaggi recenti, in cui si arrivava a Medellin o a Sassari, stanchi e felici noi, scocciatissimi, spaventati e delusi loro...
Luca passa i primi giorni a odiare qualcosa: la casa piccola a Sassari, lo spagnolo a Medellin.
Matteo vuole direttamente tornare a casa. E allora via, si torna a casa a piedi, si fa il giro dell'isolato alle 2 del mattino, per annusare la zona, trovare qualcosa che ci piace, rilassarci e decider che magari è meglio restare, per avventurarci anche il giorno dopo nella nuova giungla urbana...
La via d'uscita si trova nell'incontro con le persone, quando i bambini si incontrano, ricevono abbracci, biscotti e sorrisi.
E zii.
Da buona sarda insegno loro che gli adulti amici sono tutti zii e zie. Questa famiglia allargata a loro piace molto, ne chiedono una costante conferma, li fa sentire a casa.
Il rientro a Houston è sempre una gran festa. Luca dice che le persone non devono lasciare il loro country. Che i suoi amici sono a Houston, come la sua scuola, i suoi vicini. Anche se abbiamo casa in tre posti diversi, la loro identità per ora è evidente. Non è la nostra. Non solo almeno.
Devo godermi gli anni in cui ancora la casa migliore sarà fra le braccia della mamma (e la mia abbracciata a loro due!).
Che il 2015 ci porti tante valigie, piene di amici, case e biscotti!
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